Il campo magnetico terrestre ha subito molteplici inversioni nel corso di milioni di anni, talvolta accompagnate da temporanei indebolimenti. Uno dei periodi più significativi di riduzione del campo si è verificato tra 591 e 565 milioni di anni fa, coincidendo con l’apparizione dei primi fossili di animali complessi nel registro geologico.
Recenti studi suggeriscono che proprio durante quel periodo di indebolimento potrebbe essersi resa possibile l’emergenza di tali forme di vita, nonostante la presunta contraddizione con il ruolo tradizionalmente attribuito al campo magnetico nell’agevolare la vita sulla Terra.
Il campo geomagnetico rappresenta una delle caratteristiche distintive del nostro pianeta rispetto a Venere e Marte. Ha svolto un ruolo cruciale nel proteggere la Terra dall’azione del vento solare, evitando lo stripping dell’atmosfera e fungendo da scudo contro le espulsioni di massa coronale che avrebbero potuto avvolgere il pianeta in radiazioni dannose.
La ricerca di forme di vita al di fuori del nostro Sistema Solare presuppone che la presenza di un campo magnetico robusto sia un requisito fondamentale, soprattutto per la vita sulla superficie di un pianeta anziché in profondità.
Sebbene ci siano stati timori periodici riguardo a possibili indebolimenti del campo magnetico terrestre, i tentativi di collegare i precedenti cali di intensità del campo alle estinzioni di massa hanno spesso portato a risultati inconcludenti.
Tuttavia, nuove ricerche suggeriscono che uno degli eventi cruciali nella storia della vita sulla Terra potrebbe essere stato agevolato proprio da un indebolimento del campo magnetico, che ha abbassato la barriera tra il nostro pianeta e le radiazioni spaziali.
La forza e la direzione del campo magnetico nel corso della storia terrestre possono essere ricostruite analizzando le rocce che conservano un registro del campo locale al momento della loro formazione, a condizione che il calore successivo non abbia alterato tale registro.
Il professor John Tarduno dell’Università di Rochester e il suo team hanno esaminato un campione di cristalli di plagioclasio provenienti dai Gabbri di Passo da Fabiana, in Brasile, depositati 591 milioni di anni fa. Hanno identificato prove di un campo magnetico estremamente debole, pari a circa un trentesimo del livello attuale, e significativamente inferiore rispetto a periodi precedenti.
Basandosi su studi precedenti, gli autori sostengono che campi magnetici inferiori al 10% di quello attuale siano perdurati per almeno 26 milioni di anni, compreso un periodo cruciale per lo sviluppo della vita sulla Terra.
Anche se si ritiene che i primi animali siano comparsi leggermente prima, si trattava principalmente di organismi microscopici o di specie stazionarie come le moderne spugne. La comparsa dei primi esseri attivi, noti come fauna ediacarana, risale a circa 560 milioni di anni fa.
Si ipotizza che l’aumento dell’ossigeno nell’atmosfera e, di conseguenza, disciolto nell’oceano, abbia rappresentato l’elemento chiave per consentire l’evoluzione di organismi complessi e altamente mobili, sebbene rimanga incerto il quantitativo di ossigeno aggiuntivo presente in quel periodo.
Questo aumento di ossigeno è considerato uno dei grandi cambiamenti nella storia terrestre, sebbene le ragioni alla base di tale fenomeno siano ancora oggetto di studio. Tarduno e i suoi colleghi suggeriscono che l’indebolimento del campo magnetico potrebbe aver giocato un ruolo cruciale in questo contesto.
Un campo magnetico più debole potrebbe aver favorito una maggiore perdita di idrogeno dall’atmosfera, creando le condizioni per un cambiamento favorevole alla vita sulla Terra, consentendo all’ossigeno di reagire con altri elementi in modo diverso.
Tuttavia, rimane incerto se l’effetto di un campo magnetico più debole sarebbe stato sufficiente a determinare un impatto significativo, considerando che gran parte dell’ossigeno rilasciato avrebbe potuto legarsi ad altri elementi.
Gli autori riconoscono le difficoltà nel quantificare l’effetto di un campo magnetico estremamente basso sulla perdita di idrogeno e, di conseguenza, sull’aumento di ossigeno risultante. Tale incertezza deriva dalla vasta gamma di previsioni esistenti, che vanno da un aumento della perdita di idrogeno del 30 al 1.000 percento.
Tuttavia, gli autori ritengono che un aumento significativo di ossigeno possa aver favorito l’evoluzione della fauna ediacarana. Tale aumento potrebbe aver determinato una variazione anche minima nell’ossigeno atmosferico, sufficiente a rappresentare una svolta per la diversificazione di tali organismi.
Essi ipotizzano che un indebolimento del campo magnetico abbia esposto il plasma nell’alta atmosfera al vento solare, aumentando la perdita di ioni di idrogeno e favorendo la formazione di ossidi di azoto, che a loro volta avrebbero potuto influenzare la composizione atmosferica.
Un aspetto da considerare è che un’esposizione maggiore a particelle altamente cariche dal Sole potrebbe generare più ossidi di azoto, contribuendo alla formazione di buchi nell’ozono e all’esposizione della bassa atmosfera a una radiazione ultravioletta extra.
Questo processo potrebbe aver favorito la separazione del vapore acqueo in idrogeno e ossigeno, con una parte dell’idrogeno in eccesso sfuggito prima della ricombinazione, influenzando così l’equilibrio atmosferico.
Le ragioni precise dell’indebolimento del campo magnetico terrestre in quel periodo rimangono oggetto di dibattito scientifico. Tuttavia, l’ipotesi che la presenza di campi magnetici robusti possa essere un requisito per lo sviluppo di forme di vita avanzate come la nostra solleva importanti questioni riguardo alla ricerca di pianeti abitabili al di fuori del nostro sistema solare.
Lo studio condotto da Tarduno e colleghi è stato pubblicato in accesso aperto su Communications Earth & Environment.
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