Il Potenziale Terapeutico dei Funghi Magici: Uno Studio Neuroscientifico Rivoluzionario

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Il cervello potrebbe essere più flessibile dopo un viaggio psichedelico. (Cannabis_Pic/Shutterstock.com)

Viaggiare con i funghi magici può portare a una riduzione dell’organizzazione dell’attività cerebrale, rendendola più casuale e duratura nel tempo. Uno studio recente di imaging cerebrale ha evidenziato che questa variazione nei modelli di connettività potrebbe favorire una maggiore flessibilità cognitiva, spiegando così il potenziale beneficio dei composti psichedelici nel trattamento della depressione e di altre condizioni mentali.

Per condurre la ricerca, sette partecipanti sono stati reclutati per assumere una dose elevata di psilocibina, il principio attivo dei funghi magici, o metilfenidato, una forma generica del Ritalin. Sono state effettuate in media 18 scansioni cerebrali con risonanza magnetica prima, durante e dopo l’esperienza, al fine di analizzare gli effetti immediati e a lungo termine del farmaco.

Inizialmente, è emerso che ciascun individuo presentava un modello di connettività cerebrale unico e ben definito, come un’identità neurale distintiva. Tuttavia, subito dopo l’assunzione di psilocibina, i modelli di connettività sono diventati più caotici, al punto che i partecipanti non potevano più essere distinguibili l’uno dall’altro in base all’attività cerebrale.

Secondo l’autore dello studio, Nico Dosenbach, i cervelli delle persone sotto l’effetto della psilocibina sembravano più simili tra loro che ai loro stessi non influenzati dal farmaco, cancellando temporaneamente la loro individualità. Questo fenomeno conferma ciò che molte persone descrivono durante un’esperienza psichedelica, in cui perdono temporaneamente il senso di sé.

La ricerca ha evidenziato che i composti psichedelici agiscono inducendo uno stato cerebrale di entropia, in cui i rigidi schemi di comunicazione tra le reti cerebrali vengono interrotti. Questo effetto è stato osservato principalmente nella rete di default mode (DMN), responsabile della nostra cognizione quotidiana e delle attività come il pensiero astratto, l’introspezione e il richiamo autobiografico.

Analizzando le scansioni cerebrali, gli autori dello studio hanno notato che la DMN diventava radicalmente non sincronizzata sotto l’effetto della psilocibina, per poi ripristinarsi in gran parte una volta che l’effetto del farmaco svaniva. Tuttavia, la connettività all’interno di questa rete fondamentale rimaneva più lasca per diverse settimane dopo l’esperienza psichedelica, rispetto al suo stato precedente.

Secondo Joshua Siegel, un altro autore dello studio, l’obiettivo sembra essere quello di destabilizzare temporaneamente questo sistema neurale fondamentale, coinvolto nella capacità del cervello di riflettere su sé stesso e sul mondo circostante. Questo processo, a breve termine, genera un’esperienza psichedelica, mentre a lungo termine potrebbe rendere il cervello più flessibile e predisposto a uno stato di salute mentale ottimale.

La persistente disconnessione dei modelli di connettività all’interno della DMN è stata associata all’effetto “dopo-glow” psichedelico, in cui le persone riportano una riduzione del rumore mentale abituale e una maggiore capacità di ristrutturare i propri schemi di pensiero dopo aver assunto psilocibina, LSD o altri composti simili.

Gli autori dello studio suggeriscono che questa sottile ma duratura disconnessione delle reti cerebrali potrebbe sottendere gli effetti terapeutici dei composti psichedelici. Come afferma Dosenbach, l’obiettivo è ottenere un effetto che duri abbastanza a lungo da fare la differenza, senza cancellare completamente le reti cerebrali per lunghi periodi o ripristinarle immediatamente allo stato precedente.

Lo studio è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature, confermando l’importanza e la rilevanza di queste scoperte nel campo della ricerca neuroscientifica.

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