Un nuovo studio ha rivelato che, mettendo in contatto i dati in una sorta di brodo primordiale digitale, emergono schemi auto-replicanti. Nel lontano 1970, il matematico britannico John Horton Conway ideò un videogioco senza giocatori chiamato “Il Gioco della Vita di Conway”. Questo gioco si basa su una griglia di quadrati, dove l’unico input possibile per l’utente è impostare lo stato iniziale. Le regole del gioco, stabilite da Conway, sono le seguenti: una cellula occupata sopravvive se ha due o tre vicini, muore per solitudine se ha un vicino o nessuno, e muore per sovraffollamento se ha quattro o più vicini. Inoltre, uno spazio vuoto diventa popolato solo se ha esattamente tre vicini occupati.
Anche se le regole sono semplici, complessi schemi e comportamenti auto-replicanti emergono man mano che il gioco procede. In un recente studio condotto da ricercatori di Google, del Paradigms of Intelligence Team e dell’Università di Chicago, si è cercato di ottenere un’idea su come la vita possa sorgere dall’interazione di molecole non viventi. Durante la ricerca di una definizione generale di vita, è emerso un cambiamento significativo nella dinamica, coincidente con l’emergere degli auto-replicatori.
Il team ha collocato decine di migliaia di frammenti di codice informatico in un brodo primordiale digitale, dove sono stati autorizzati a interagire per un massimo di 16.000 epoche. Ogni programma consisteva di 64 caratteri da 1 byte inizializzati casualmente da una distribuzione uniforme. Durante le simulazioni, i programmi interagivano selezionando casualmente coppie di programmi, concatenandoli ed eseguendo il codice risultante per un numero fisso di passaggi o fino a quando il programma terminava.
Nonostante ai programmi non fosse stato dato alcun obiettivo o meccanismo di ricompensa, il team ha scoperto che gli auto-replicanti emergevano circa il 40% delle volte dal brodo primordiale digitale. Tuttavia, non sempre sopravvivevano, a volte venivano distrutti in ulteriori interazioni. Le transizioni di stato, in cui gli auto-replicanti dominavano il sistema, erano rare con una configurazione iniziale casuale, verificandosi solo tre volte su 1.000.
Successivamente, il team ha esplorato ambienti unidimensionali e bidimensionali, dove i programmi potevano interagire solo con il codice vicino. In entrambi i casi, gli auto-replicanti emergevano comunque, anche se la velocità di propagazione variava notevolmente. Gli esperimenti in griglia 2D hanno permesso di visualizzare in modo più chiaro l’evoluzione e il comportamento degli auto-replicanti.
Anche se gli esperimenti non replicano esattamente le condizioni del brodo primordiale terrestre, mostrano come la complessità e gli auto-replicanti possano emergere da interazioni casuali tra componenti inerti. Il team spera di continuare la ricerca per rispondere a domande fondamentali sulla complessità dei comportamenti che possono emergere in sistemi computazionali e biologici.
Questo studio, non ancora sottoposto a revisione tra pari, è stato pubblicato sul server di preprint arXiv e rappresenta un passo avanti nel comprendere come la vita possa emergere da interazioni casuali e complesse.