Purtroppo, l’influenza aviaria continua a diffondersi senza mostrare segni di rallentamento. Oltre ad infettare numerose specie di uccelli e addirittura essere rilevata nel latte, il virus si è esteso anche a specie di mammiferi, tra cui orsi e foche. Recenti studi hanno identificato il primo caso di virus altamente patogeno dell’influenza aviaria (HPAI) in un tursiope comune (Tursiops truncatus) avvistato in Florida.
Il clade dei virus A(H5N1) 2.3.4.4b è stato individuato in delfini comuni (Delphinus delphis), focene (Phocoena phocoena) e un delfino dal dorso bianco atlantico (Lagenorhynchus acutus) in diverse località come Perù, Regno Unito, Svezia e Canada, evidenziando la vasta diffusione di questo virus tra i cetacei. Alcune specie di mammiferi sono sospettate di aver contratto il virus attraverso il consumo di uccelli infetti.
L’autopsia di carcasse di animali affetti dalla malattia ha rivelato la presenza di meningoencefalite, una condizione caratterizzata da gonfiore e infiammazione attorno al cervello e al midollo spinale. Questo può causare comportamenti anomali nelle specie colpite prima della morte.
Il 29 marzo 2022, è stato segnalato un delfino in difficoltà intrappolato tra un muro marino e un palo di un molo vicino a West Horseshoe Beach nella Contea di Dixie, in Florida. Nonostante i tentativi di liberarlo, il delfino è stato trovato morto. Il dottor Richard Webby, responsabile del Centro Collaboratore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per gli Studi sull’Ecologia dell’Influenza negli Animali e negli Uccelli presso St. Jude, ha dichiarato che sono necessarie ulteriori ricerche per determinare l’origine dell’infezione.
L’autopsia ha rivelato che il delfino maschio presentava condizioni corporee deboli, un tratto gastrointestinale vuoto e numerose lacerazioni. L’infiammazione cerebrale è stata confermata, simile a quanto osservato in altre specie di mammiferi. I campioni di tessuto cerebrale hanno confermato la presenza del virus A(H5N1), con un carico virale più elevato nel cervello rispetto ai polmoni.
Nonostante la preoccupazione suscitata da questi eventi, la scoperta del virus in questa specie permette agli esperti di essere più preparati per eventuali casi futuri. Il dottor Michael Walsh, veterinario presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università della Florida e coautore dello studio, ha sottolineato l’importanza di rimanere vigili e di approfondire la comprensione dell’impatto del virus sui cetacei costieri.
Questi importanti risultati sono stati pubblicati sulla rivista Communications Biology.
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