Scoperta di impronte di moa in Nuova Zelanda
Una tempesta di notevole intensità ha portato alla luce un’importante scoperta per i ricercatori neozelandesi: impronte risalenti a circa un milione di anni fa, rinvenute su una spiaggia. Queste impronte appartengono a un moa, un antico uccello incapace di volare, oggi estinto. La scoperta ha fornito agli scienziati nuove informazioni sull’ecologia e sul comportamento di questi affascinanti animali, suggerendo persino l’esistenza di una nuova specie. La rilevanza di questa scoperta non si limita solo alla paleontologia, ma offre anche spunti per comprendere meglio l’evoluzione della fauna neozelandese e il suo adattamento all’ambiente.
Dettagli sulla scoperta delle impronte
Il sito di Manunutahi, noto anche come Mosquito Bay, situato nella regione di Kaipara sull’Isola del Nord della Nuova Zelanda, ha rivelato, nel marzo 2022, quattro calchi di impronte in rilievo positivo e un’unica impronta in rilievo negativo. Gli autori dello studio hanno condotto un’analisi approfondita delle impronte e del modo in cui l’uccello camminava. I risultati hanno indicato che il moa in questione avrebbe raggiunto un’altezza di circa 80 centimetri all’anca e un peso di circa 29 chilogrammi. Inoltre, il team ha calcolato che la velocità di camminata del moa era di soli 1,7 chilometri all’ora, un passo più lento rispetto a quello di un adulto umano, di uno struzzo o di un emù. Questo suggerisce che l’uccello si stesse semplicemente godendo una passeggiata lungo la riva, un comportamento che offre spunti interessanti sulla vita quotidiana di queste creature preistoriche.
Datazione delle impronte e analisi sedimentaria
Le impronte sono state datate all’inizio o al medio Pleistocene, il che le rende potenzialmente vecchie fino a un milione di anni, con un margine di errore di circa cinquecento mila anni. Per determinare l’età delle impronte, i ricercatori hanno analizzato la dimensione e la composizione dei granuli, nonché le relazioni stratigrafiche dei sedimenti in cui erano state create. Questo ha permesso di identificare l’unità sedimentaria ospite, costituita da arenaria del gruppo Karioitahi. Grazie a questa identificazione, il sedimento è stato correlato ad altre porzioni della stessa arenaria già datate. Il Dr. Daniel Thomas, Accademico Onorario della Scuola di Scienze Biologiche dell’Università di Auckland, ha spiegato l’importanza di queste scoperte per la comprensione della storia geologica della Nuova Zelanda.
Il ruolo della cultura Māori nella ricerca
Un aspetto significativo di questa ricerca è stato il coinvolgimento della cultura e della conoscenza Māori, che ha arricchito la comprensione delle impronte. Gli esseri umani e i moa coesistevano in quest’area, e la tradizione Māori, o kīrero tuku iho, conferma la conoscenza ancestrale e le esperienze dirette con i moa, fino alla fine del XVII secolo. Localmente, questi uccelli erano conosciuti come kura(nui) e te manu pouturu, ovvero “l’uccello su trampoli”. Sebbene le impronte siano precedenti all’arrivo degli esseri umani in Aotearoa, è possibile che i discendenti di questi uccelli abbiano vissuto accanto a loro, creando un legame culturale e storico che arricchisce ulteriormente la narrazione di questa scoperta.

Le sfide del recupero delle impronte
Il recupero delle impronte dalla spiaggia non è stato un compito semplice. Il team ha dovuto affrontare le maree, lavorando con determinazione per estrarre l’arenaria in modo sicuro per l’analisi. “Sapevamo che le probabilità erano contro di noi, poiché la lastra di arenaria era estremamente morbida e friabile, ma eravamo tutti d’accordo che ne valesse la pena,” ha dichiarato Ricky-Lee Erickson, Responsabile della Collezione di Vertebrati Terrestri al Museo di Auckland. Il giorno dell’escavazione, il team ha atteso che l’acqua si ritirasse a sufficienza per iniziare. Hanno lavorato per rimuovere l’arenaria in eccesso dal blocco e hanno allestito una struttura di supporto per trasportare le impronte, dimostrando un impegno straordinario per la conservazione di questo importante reperto.
La preservazione delle impronte e il loro significato
Dopo la rimozione del percorso, è stata eseguita una karakia, una pratica culturale Māori, per dare il benvenuto alle impronte. Queste sono state custodite presso la struttura Ngā Maunga Whakahii o Kaipara per i due anni successivi. Attualmente, le impronte sono sotto la cura di Ngā Maunga Whakahii o Kaipara, l’entità post-insediamento per Ngāti Whātua o Kaipara, che funge da mana whenua e kaitiaki dell’area. La preservazione di questo taonga all’interno del rohe assicura che le impronte siano accessibili ai mana whenua e possano essere utilizzate per scopi educativi, di ricerca e per mantenere il legame con whakapapa e whenua, come spiegato in una dichiarazione vista da IFLScience. Questo approccio evidenzia l’importanza della collaborazione tra scienza e cultura nella conservazione del patrimonio naturale.
Possibili nuove specie di moa
È interessante notare che, sebbene siano conosciute nove specie di moa che un tempo popolavano la Nuova Zelanda, il team ha riscontrato difficoltà nell’attribuire le impronte a una di queste specie. Anzi, si ipotizza che le impronte possano appartenere a una specie diversa e finora sconosciuta. “Abbiamo notato una discrepanza tra la larghezza della regione della caviglia delle impronte e le larghezze delle ossa della caviglia delle specie di moa note in Aotearoa Nuova Zelanda,” ha dichiarato Thomas. Questa scoperta potrebbe aprire nuove strade per la ricerca sulla biodiversità e sull’evoluzione degli uccelli in Nuova Zelanda, contribuendo a una comprensione più profonda della fauna preistorica.
Conclusioni e futuri sviluppi della ricerca
Una delle ipotesi avanzate è che le impronte possano essere state lasciate da un subadulto; specie di moa come il moa gigante dell’Isola del Nord (Dinornis novaezealandiae) potevano raggiungere altezze comprese tra 2 e 3 metri. Questo rende plausibile l’idea che le impronte siano state fatte da un giovane esemplare. “Potrebbe trattarsi di un subadulto di una specie gigante. Altre possibilità includono l’ipotesi che si tratti di una specie non riconosciuta in precedenza,” ha concluso Thomas. I risultati di questo studio sono stati pubblicati nel New Zealand Journal of Geology and Geophysics. Questa scoperta non solo arricchisce la nostra comprensione della fauna preistorica, ma stimola anche ulteriori ricerche e indagini nel campo della paleontologia.