Il mistero del seme millenario: Sheba, l’albero biblico riportato in vita

Scoperta scientifica di un antico albero sconosciuto collegato alla Bibbia

Un seme straordinario, risalente a più di 1.000 anni fa e scoperto in una grotta nel deserto giudaico negli anni ’80, è stato riportato in vita dagli scienziati.

Questo seme, chiamato Sheba, è stato datato tramite il radiocarbonio e il suo DNA lo collega a un genere di albero menzionato nella Bibbia, ma ormai scomparso.

Si tratta di una specie sconosciuta di albero appartenente al genere Commiphora, facente parte della famiglia dell’Incenso e della Mirra (Burseraceae), la quale conta circa 200 specie di piante viventi oggi.

Questi alberi sono diffusi in Africa, Madagascar e nella Penisola Arabica, noti per le loro resine gommosi aromatiche e usi etnobotanici.

Sheba è cresciuto in 14 anni fino a raggiungere un’altezza di quasi 3 metri, permettendo agli scienziati di studiarne le caratteristiche per la prima volta.

Sebbene morfologicamente simile ad altri alberi del genere Commiphora, Sheba si è rivelato diverso da tutte le altre specie campionate, con i suoi parenti più vicini identificati come Commiphora angolensis, C. neglecta e C. tenuipetiolata.

Si ipotizza che Sheba sia un sopravvissuto di una popolazione di alberi ormai estinta nella regione del Levante meridionale.

Inizialmente si pensava che Sheba potesse essere il Balsamo giudaico storico, ma l’assenza di composti aromatici ha portato gli studiosi a considerare un’altra ipotesi: l’albero potrebbe essere collegato al ‘tsori’ biblico, una resina associata alla guarigione menzionata in Genesi, Geremia ed Ezechiele.

L’analisi fitochimica ha rivelato che Sheba è ricco di triterpenoidi pentaciclici, noti per le loro proprietà curative, e contiene anche alte concentrazioni di squalene, utilizzato per la cura della pelle.

Il seme di Sheba è stato trovato in una grotta nella valle del Giordano del Mar Morto, e si ipotizza che possa essere stato depositato da un animale o deliberatamente conservato da un essere umano.

L’ipotesi del deposito animale è supportata dal fatto che i piccoli roditori conservano i semi di Commiphora e che i frutti maturi di questi alberi sono consumati da uccelli come piccioni e colombe, fauna presente nella regione.

Ulteriori ricerche sono necessarie per identificare altri composti presenti nell’albero.

Il team di ricerca conclude che la germinazione di questo antico seme di Commiphora rappresenta la prima prova della presenza di questa specie nella regione circa 1.000 anni fa, suggerendo una possibile identificazione con un arbusto nativo la cui resina ‘tsori’ era associata all’uso medicinale biblico.

L’articolo è stato pubblicato su Communications Biology.

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