Alcuni animali manifestano un comportamento affascinante emettendo luce visibile solo quando vengono illuminati con una luce nera, un’attività che il sito web di scienza partecipativa Finding Fluorescence conosce bene. Recentemente, hanno annunciato di aver individuato 15 nuove specie capaci di biofluorescenza, offrendo così nuove prospettive sulle possibili funzioni ecologiche di questo fenomeno.
Quando la luce colpisce determinati organismi viventi, viene riemessa a una lunghezza d’onda più lunga in un processo noto come biofluorescenza. Questo meccanismo si distingue dalla bioluminescenza, la quale è il bagliore emesso dagli organismi marini profondi grazie a specifici enzimi. Nella biofluorescenza, tutto dipende dalla corretta lunghezza d’onda della luce incidente che eccita le molecole chiamate fluorofori, le quali successivamente emettono la luce visibile come fluorescenza. Il prefisso “bio” indica semplicemente l’origine biologica del fenomeno.
Abbiamo già identificato una varietà di animali biofluorescenti, tra cui anfibi, anguille e ornitorinchi. Si tratta di un campo scientifico in crescita che sta attirando sempre più interesse, e Finding Fluorescence è desideroso di approfondire ulteriormente la questione.
Tuttavia, per individuare questi animali biofluorescenti, l’occhio umano necessita di un supporto. Gli esseri umani possono percepire solo la luce visibile dello spettro elettromagnetico (generalmente compresa tra circa 380 nm e 700 nm), mentre altre specie hanno una gamma di percezione diversa. Hannah Burke, autrice del preprint e ex studentessa della Florida State University, ha spiegato a IFLScience che molti impollinatori, come le api, possono vedere nella porzione ultravioletta dello spettro elettromagnetico, consentendo loro di individuare dettagli sui fiori non visibili a occhio nudo.
Le lunghezze d’onda della biofluorescenza variano a seconda dell’organismo e della sua funzione ecologica. Gli esseri umani utilizzano le luci nere per rivelare schemi di fluorescenza altrimenti invisibili. Queste luci hanno lunghezze d’onda più corte rispetto alla luce visibile e, quando assorbite da sostanze fluorescenti specifiche, la luce viene riemessa a una lunghezza d’onda più lunga, visibile agli esseri umani come biofluorescenza.
In breve, a volte abbiamo bisogno dell’ausilio delle luci nere per percepire ciò che molte creature intorno a noi vedono naturalmente! Inizialmente si pensava che la biofluorescenza fosse un fenomeno esclusivo degli animali marini, ma successivamente è emerso che si manifesta anche sulla terraferma, svolgendo diverse funzioni legate alla riproduzione, al mimetismo, alla comunicazione e alla caccia.
Finding Fluorescence si impegna a individuare queste specie dal 2020 e in un nuovo articolo preprint, non ancora sottoposto a revisione tra pari, sono stati riportati almeno 15 nuovi casi di biofluorescenza in altrettante specie diverse. Secondo Hannah Burke, la sua preferita tra le scoperte è stata la raganella striata (Hyla squirella), la quale emette fluorescenza lungo la striscia laterale. Uno studio precedente ha dimostrato che le femmine preferiscono accoppiarsi con maschi che presentano una striscia laterale più ampia (Taylor et al., 2007), suggerendo un possibile impatto visivo della fluorescenza sulle interazioni ecologiche.
Un’altra scoperta degna di nota è stata quella di un geco domestico mediterraneo (Hemidactylus turcicus) che mostrava fluorescenza verde nel cranio e lungo la spina dorsale attraverso la pelle. Si ipotizza che la fluorescenza nei gechi possa facilitare la segnalazione o l’identificazione intraspecifica, enfatizzando particolari caratteristiche del geco come i segni corporei o gli elementi scheletrici.
Pur condividendo la caratteristica sinistra della biofluorescenza, la posizione e la lunghezza d’onda della luce necessaria per eccitare i fluorofori possono variare tra le diverse specie. Comprendere questi dettagli può aiutarci a individuare le possibili funzioni ecologiche sottese a questo fenomeno.
Se sei interessato a unirti a questa avventura, visita Finding Fluorescence per scoprire di più. L’articolo preprint è disponibile su bioRxiv.