Dopo decenni di tentativi falliti, finalmente gli scienziati sono riusciti a convincere le cellule animali a fotosintetizzare. Questo risultato apre nuove prospettive nel campo della biologia sintetica e della medicina, aprendo la strada a possibili applicazioni rivoluzionarie.
Le piante e le alghe utilizzano i cloroplasti per sfruttare l’energia solare e produrre i nutrienti di cui hanno bisogno per crescere. Tuttavia, finora era stato difficile replicare questo processo nelle cellule animali a causa della reazione immunitaria che distruggeva i cloroplasti introdotti.
Per superare questo ostacolo, i ricercatori hanno utilizzato cloroplasti isolati da un’alghe rossa primitiva chiamata Cyanidioschyzon merolae, in grado di fotosintetizzare a temperature superiori a 37°C. Questi cloroplasti sono stati aggiunti a una coltura di cellule ovariche di criceto cinese, dove hanno dimostrato un’attività fotosintetica significativa.
Lo studio ha rivelato che dopo due giorni di co-coltivazione, l’1% delle cellule conteneva numerosi cloroplasti, mentre il 20% aveva tra uno e tre cloroplasti. Questi cloroplasti importati hanno continuato a mostrare attività per altri due giorni, accelerando la crescita delle cellule ospiti.
Nonostante i risultati promettenti, i cloroplasti importati si sono degradati e distrutti entro il quarto giorno, evidenziando la necessità di ulteriori ricerche per perfezionare la tecnica. Tuttavia, i ricercatori ritengono che questo approccio possa essere fondamentale per la creazione di cellule animali artificialmente fotosintetiche.
Il capo ricercatore Sachihiro Matsunaga ha sottolineato l’importanza di questa scoperta per l’ingegneria cellulare dei tessuti, suggerendo che le cellule planimali potrebbero rivoluzionare la produzione di organi artificiali, carne coltivata in laboratorio e altri tessuti cellulari multistrato.
Sebbene il bestiame fotosintetico possa non essere una realtà immediata, le cellule planimali potrebbero avere un impatto significativo sia nel settore alimentare che in medicina. Questo studio è stato pubblicato sulla rivista Proceedings of the Japan Academy, Series B.
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