Un buco nero recentemente avvistato mentre consumava una stella troppo vicina ha individuato la sua prossima preda, che potrebbe essere un altro buco nero. Gli astronomi sono impazienti di osservare questo processo in azione, poiché potrebbe confermare un collegamento tra due misteri scientifici.
Una delle scoperte più sorprendenti e spaventose che i fisici hanno fatto è che i buchi neri possono “spaghettificare” gli oggetti, trascinandoli in lunghe e sottili strisce con il loro intenso campo gravitazionale. In particolare, i buchi neri supermassicci al centro delle galassie possono “spaghettificare” intere stelle. I teorici avevano previsto questo fenomeno molto tempo prima che fosse osservato, quindi è stato emozionante quando è stata segnalata la nostra migliore visione di un tale evento.
Il buco nero, denominato AT2019qi (ora AT2019qiz), distante 215 milioni di anni luce, ha offerto una visione non proprio ravvicinata ma comunque significativa. Durante l’evento, metà di una stella simile al nostro Sole è stata allungata in una lunga striscia luminosa mentre l’altra metà veniva inghiottita dal buco nero. Questo evento è stato identificato come un evento di distruzione mareale (TDE), di solito osservato nei raggi X.
L’analisi della luce emessa ha rivelato che parte della stella è diventata una nuvola sferica spinta dai potenti venti provenienti dal buco nero. I detriti generati da questo evento hanno avuto un impatto significativo su un altro oggetto in orbita attorno al buco nero supermassiccio, a una distanza che in precedenza era considerata sicura.
Non è possibile osservare direttamente l’oggetto in orbita, ma si è notato che attraversa i detriti della stella precedente approssimativamente una volta ogni due giorni terrestri. Questi passaggi rilasciano brillamenti di raggi X, osservati dal telescopio spaziale Chandra e dall’esploratore della composizione interna delle stelle di neutroni (NICER).
I telescopi a raggi X hanno registrato nove brillamenti simili a quelli osservati in precedenza, noti come eruzioni quasi periodiche (QPE). Gli astronomi sono convinti che il buco nero responsabile di AT2019qiz sia la causa di questi brillamenti, fornendo così un’importante chiave per comprendere l’origine di tali fenomeni.
Secondo il dottor Andrew Mummery dell’Università di Oxford, questo rappresenta un significativo progresso nella comprensione delle eruzioni regolari, dimostrando che è necessario del tempo affinché il disco di detriti si espanda abbastanza da interagire con un’altra stella.
Il dottor Dheeraj Pasham del MIT ha paragonato questa scoperta a un “due per uno cosmico nel risolvere i misteri”, sottolineando che le eruzioni quasi periodiche sono circa un decimo tanto comuni quanto gli eventi di distruzione mareale.
Questo studio, pubblicato su Nature in accesso aperto, fornisce importanti informazioni sul comportamento dei buchi neri supermassicci e sulle dinamiche degli oggetti in orbita attorno ad essi, offrendo uno sguardo affascinante sulle complesse interazioni cosmiche.
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