La Stazione Spaziale Internazionale (ISS) ospita un sofisticato rivelatore di particelle, l’AMS-02, progettato per individuare antimateria, materia oscura e analizzare i raggi cosmici. Nel corso di un decennio, l’AMS-02 ha registrato oltre 239.017.100.611 eventi cosmici. Tra questi, emergono segnalazioni di eventi insoliti, come i 10 rilevamenti relativistici di raggi cosmici di antielio (He).
L’antimateria, simile alla materia ordinaria ma con carica elettrica opposta, è costituita da antiparticelle. Ogni particella ha un corrispondente di antimateria con carica opposta. Ad esempio, un elettrone ha una carica negativa, mentre il suo corrispondente, il positrone, ha una carica positiva. La persistenza dell’universo nonostante l’esistenza di antimateria rimane un enigma, poiché ci si aspetterebbe che entrambi i tipi di particelle fossero prodotti durante il Big Bang.
Lo studio dell’antimateria avviene attraverso collisioni ad alta energia nei collider di particelle e tramite l’osservazione dei raggi cosmici, particelle ad alta energia emesse da sorgenti come stelle, supernove e buchi neri supermassicci. L’AMS-02 ha segnalato il rilevamento di antielio-3 e antielio-4, contenenti antiprotoni e antinucleoni.
Un recente articolo propone spiegazioni sul possibile processo di formazione dell’antimateria e il suo viaggio attraverso lo spazio fino alla stazione spaziale in orbita attorno alla Terra. Queste teorie si basano su complessi processi fisici e richiedono ulteriori osservazioni per essere confermate o confutate.
Il team di ricerca ipotizza che la formazione dell’antielio-4 potrebbe essere avvenuta in rapidi fuochi termalizzati di plasma soggetti a effetti relativistici. Questi processi potrebbero coinvolgere anche la materia oscura, aprendo nuove prospettive di studio.
Sebbene sia un campo di ricerca affascinante, sono necessarie ulteriori indagini per identificare con precisione le fonti di antimateria. Al momento, ciò che possiamo apprezzare è il fatto che nuclei di antielio siano rilevati nello spazio grazie alla tecnologia umana. Lo studio è stato pubblicato su Physical Review D.
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