I zaffiri, come molte pietre preziose, si formano nelle viscere della crosta terrestre, cucinati da un’immensa pressione e un intenso calore. La ricetta esatta per i sorprendenti cristalli blu è stata a lungo un mistero per gli scienziati. Gli zaffiri sono composti principalmente da corindone, un’ossido di alluminio, e da una varietà di elementi in traccia come ferro, titanio, cobalto, piombo, cromo, vanadio, magnesio, boro e silicio. È proprio da questi elementi in traccia, in particolare ferro e titanio, che i zaffiri traggono il loro famoso colore blu. Quando questi elementi sono presenti nel cristallo, interagiscono con la griglia cristallina assorbendo specifiche lunghezze d’onda della luce, soprattutto quelle rosse e gialle dello spettro. Di conseguenza, la luce riflessa appare prevalentemente blu, conferendo ai zaffiri il loro caratteristico colore ultramarino.
I rubini, anch’essi minerali di corindone, differiscono per il loro colore scarlatto, causato da concentrazioni più elevate di un’altra impurità: il cromo. Il processo naturale di formazione dei zaffiri è un intricato intreccio di elementi che avviene in antiche rocce vulcaniche povere di biossido di silicio ma ricche di sodio e potassio. Recentemente, i ricercatori dell’Università di Heidelberg hanno condotto uno studio approfondito analizzando 223 zaffiri provenienti dalla catena montuosa dell’Eifel, in Germania occidentale, una regione vulcanica attiva da quasi 700.000 anni.
La maggior parte dei zaffiri è stata rinvenuta nei sedimenti fluviali, dimostrando la loro resistenza e durabilità nel tempo. Come l’oro, gli zaffiri sono altamente resistenti all’azione atmosferica, il che li rende facilmente separabili dai sedimenti più leggeri. L’analisi degli isotopi dell’ossigeno e degli elementi in traccia ha permesso di tracciare l’origine dei zaffiri, rivelando che si sono formati contemporaneamente all’inizio del vulcanismo nella regione dell’Eifel.
Contrariamente alla teoria consolidata, che suggerisce la formazione dei zaffiri nel mantello o nella crosta inferiore a temperature elevate, gli studi condotti hanno indicato che alcuni zaffiri hanno ottenuto la loro firma isotopica da fusioni del mantello mescolate con rocce crostali riscaldate e parzialmente fuse a una profondità di circa 5-7 chilometri. I processi magmatici e metamorfici, influenzati dal calore che ha modificato la roccia originale, hanno giocato un ruolo fondamentale nella cristallizzazione degli zaffiri nell’Eifel, come ha sottolineato Sebastian Schmidt, autore dello studio pubblicato sulla rivista Contributions to Mineralogy and Petrology.
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