500 milioni di anni fa, la Terra era prevalentemente ricoperta da mari. In questo contesto marino, si verificò l’Esplosione Cambriana, un periodo di intensa diversificazione che gettò le basi per la comparsa dei moderni fili animali. Le nuove forme di vita emerse non erano più semplici ammassi cellulari, ma presentavano già molte delle caratteristiche distintive degli animali attuali, come occhi, zampe, gusci e mandibole.
Una di queste creature, chiamata Odaraia alata, sembrava essere all’avanguardia non solo per quanto riguarda la sua forma corporea, ma anche per il suo stile di vita. Scoperta per la prima volta 100 anni fa nella Burgess Shale, un ricco giacimento fossile situato nelle Montagne Rocciose canadesi, Odaraia fornisce preziose informazioni sul mondo cambriano, grazie ai suoi antichi fossili di parti molli del corpo, risalenti a 500 milioni di anni fa.
La maggior parte degli animali del Cambriano abitava il bentos, ovvero l’ecosistema del fondale marino, ma Odaraia, con il suo corpo lungo 20 centimetri, potrebbe già essere stata in grado di nuotare verso l’alto per cacciare. Uno studio condotto su 150 fossili di Odaraia da Alejandro Izquierdo-López e Jean-Bernard Caron ha permesso di ottenere una dettagliata ricostruzione di come questo artropode potesse apparire e di come si nutrisse.
Il corpo di Odaraia era caratterizzato da uno scudo che avvolgeva quasi la metà del suo corpo, comprese le zampe, conferendogli un aspetto simile a un taco. Le sue mandibole, rivestite di denti e con incavi per i muscoli, erano una rarità nel Cambriano, ma rappresentano un importante passo evolutivo. Le numerose spine lungo il corpo di Odaraia, utilizzate per catturare le prede, suggeriscono che potesse essere un alimentatore a sospensione, catturando prede simili al mesozooplancton nella rete delle sue spine e trasportandole verso la bocca.
Interessante è anche il dente a forma di tridente all’apertura della bocca di Odaraia, simile a un dente gastrico presente in alcune specie di crostacei. Gli autori dello studio sottolineano l’importanza di ricavare informazioni anatomiche per migliorare le ricostruzioni ecologiche. Questo studio è stato pubblicato nei Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences.
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