Un recente studio olandese ha identificato una manciata di casi enigmatici all’interno di una banca del cervello contenente oltre 5.000 campioni donati: individui affetti da malattia di Alzheimer asintomatica, noti come resilienti alla malattia. Questi casi stanno aprendo nuove prospettive per gli scienziati che stanno esplorando i segreti celati nei loro cervelli.
La Banca del Cervello dei Paesi Bassi ad Amsterdam rappresenta una risorsa di inestimabile valore per i ricercatori nel campo delle neuroscienze. Oltre ai campioni di tessuto cerebrale provenienti da persone con varie condizioni neurologiche e psichiatriche, vengono conservati anche campioni di individui deceduti senza segni di malattia cerebrale, accompagnati da dettagliate informazioni diagnostiche e record medici anonimizzati. Questo livello di dettaglio consente agli scienziati di correlare la patologia cerebrale con i sintomi manifestati in vita.
Un team di ricerca guidato da Luuk de Vries dell’Istituto per le Neuroscienze dei Paesi Bassi ha individuato alcune anomalie intriganti tra i dati raccolti. Alcuni cervelli mostravano segni evidenti di malattia di Alzheimer, ma sorprendentemente, i donatori non avevano mai manifestato sintomi correlati. Questa scoperta solleva interrogativi sulle dinamiche molecolari e cellulari che caratterizzano questi individui particolarmente rari.
Esistono ipotesi secondo le quali alcuni fattori legati allo stile di vita potrebbero contribuire a ritardare lo sviluppo della malattia di Alzheimer e di altre forme di demenza. Le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 2019 evidenziano l’importanza di abitudini salutari come smettere di fumare, moderare il consumo di alcol, seguire una dieta equilibrata e praticare regolarmente attività fisica. Inoltre, è emerso che stimoli cognitivi intensi, come quelli derivanti da attività lavorative complesse, potrebbero influenzare l’accumulo di patologia cerebrale prima della comparsa dei sintomi.
Per approfondire la questione, i ricercatori hanno analizzato i profili di espressione genica in campioni di tessuto cerebrale provenienti da diversi donatori, inclusi individui con demenza da malattia di Alzheimer documentata, individui senza segni di malattia e i rari casi di individui resilienti. I risultati hanno evidenziato alterazioni significative nei processi cellulari dei soggetti resilienti, come una maggiore produzione dell’antiossidante metallothionein da parte degli astrociti, cellule di supporto cerebrale.
Ulteriori analisi hanno rivelato che la “risposta proteica non piegata”, un meccanismo di difesa cellulare, era compromessa nei pazienti affetti da Alzheimer ma risultava relativamente normale nei soggetti resilienti. Inoltre, è emerso che i cervelli resilienti potrebbero beneficiare di una maggiore produzione di energia grazie a una quantità superiore di mitocondri.
Pur essendo affascinanti, questi risultati rappresentano solo l’inizio di un percorso di ricerca più ampio. Sono necessari ulteriori esperimenti per comprendere come i fattori genetici e lo stile di vita possano interagire per offrire protezione contro la malattia di Alzheimer, che attualmente colpisce milioni di persone in tutto il mondo.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Acta Neuropathologica Communications, sottolinea l’importanza di approfondire la comprensione dei processi molecolari alla base della resilienza cerebrale e della malattia di Alzheimer.
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