Pesci nello spazio: un viaggio senza confini

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I mummichog, una specie di pesce persico, ebbero l’onore di essere i primi pesci nello spazio. (NOAA/Pubblico Dominio)

Il 28 luglio 1973 non è una data famosa per la storia umana, ma per i pesci è stata una giornata memorabile. In quel giorno, due pesci rossi furono lanciati nello spazio con un obiettivo ben preciso: capire se anche i pesci soffrono di mal d’auto nello spazio.

Il mal d’auto nello spazio è un problema poco trattato nella narrativa fantascientifica, forse perché si immagina che le astronavi del futuro siano dotate di gravità artificiale. Tuttavia, è una sfida significativa per l’umanità nella sua esplorazione dell’ultima frontiera.

Circa la metà degli astronauti sperimenta il mal d’auto quando si trova per la prima volta in microgravità, nonostante siano meno inclini a soffrire di mal di mare rispetto al pubblico generale.

Per indagare sul mal d’auto nello spazio, la NASA si è chiesta come un animale che vive in acqua avrebbe reagito. I delfini sarebbero stati soggetti interessanti, ma per motivi logistici e etici, la scelta cadde sui mummichog, noti per la loro resistenza e adattabilità a diverse condizioni ambientali.

I mummichog, Fundulus heteroclitus, furono selezionati per partecipare a una missione verso Skylab, la stazione spaziale in orbita costruita per mantenere la presenza americana nello spazio dopo le missioni Apollo. Solo due adulti furono portati nello spazio, insieme a cinquanta uova per creare una nuova generazione adatta alla microgravità.

Secondo Scientific American, i mummichog iniziarono a nuotare in stretti anelli nello spazio, sviluppando un nuovo modo di orientarsi verso l’alto, utilizzando le luci di Skylab come riferimento al Sole.

Non essendo possibile comunicare direttamente con i pesci, gli astronauti non potevano chiedere loro come si sentissero. Tuttavia, i ricercatori interpretarono il comportamento dei mummichog come una risposta ai segnali confusi provenienti dai loro orecchi interni.

Con il passare del tempo, i pesci si adattarono alla microgravità, tornando a nuotare normalmente. Anche le uova schiuse in orbita si adattarono rapidamente, mantenendo le loro schiene orientate verso le luci come segno di orientamento.

Altri esperimenti con pesci nello spazio hanno portato a risultati interessanti. Ad esempio, i pesci rossi inviati alla Stazione Spaziale Internazionale hanno mostrato reazioni diverse a seconda delle manipolazioni effettuate ai loro otoliti.

Un ceppo mutante di medaka, con una mutazione che ritarda la formazione degli otoliti, è stato studiato per comprendere meglio gli effetti della microgravità sui pesci. Questi esperimenti hanno rivelato che anche i pesci possono subire perdita di densità minerale ossea nello spazio, simile agli astronauti umani.

Oggi, sulla Stazione Spaziale Tiangong, sono presenti pesci zebra che fanno parte di un esperimento per creare un ecosistema funzionante in microgravità, con pesci e alghe che interagiscono in un equilibrio produttivo.

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