Lo scorso novembre, gli astronomi hanno osservato una rapida esplosione di raggi gamma della durata di un decimo di secondo. Dopo soli 13 secondi, hanno identificato la provenienza di questo evento straordinario: la galassia M82, situata a soli 12 milioni di anni luce di distanza. Questa distanza, sebbene considerevole in termini cosmici, è relativamente vicina se si considerano le dimensioni dell’universo.
La sorgente di questa brillante esplosione è stata identificata come un magnetar, una particolare tipologia di stella neutronica caratterizzata da un campo magnetico estremamente potente. Le stelle neutroniche sono il risultato finale di alcune supernove, costituite dal nucleo estremamente denso e degenere delle stelle massive defunte.
Le esplosioni di raggi gamma brevi sono solitamente il risultato di collisioni tra stelle neutroniche, che rilasciano enormi quantità di energia e onde gravitazionali. Tuttavia, in questo caso, il team di ricerca sospettava che fosse coinvolto un fenomeno ancora più raro legato a un magnetar.
Negli ultimi 50 anni, sono state osservate solo altre tre brillanze di magnetar, tutte associate a esplosioni di raggi gamma brevi. Questi eventi sono stati registrati sia nella nostra galassia che nella Grande Nube di Magellano, uno dei più grandi e vicini compagni galattici della Via Lattea. La brillante esplosione proveniente da M82 rappresenta il quarto evento di questo tipo, il più distante finora, ma comunque molto più vicino rispetto ad altre esplosioni di raggi gamma brevi.
Il primo autore dello studio, il Dr. Sandro Mereghetti dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF IASF) di Milano, ha sottolineato l’eccezionalità di questa scoperta: “Le esplosioni di raggi gamma provengono da punti remoti del cielo, ma questa esplosione è giunta da una luminosa galassia nelle vicinanze”.
Il team di ricerca ha impiegato diversi telescopi per confermare la natura del fenomeno. Dall’allerta iniziale del satellite Integral dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), sono stati utilizzati osservatori nei raggi X, come il XMM-Newton dell’ESA, e nel range visibile per monitorare le conseguenze attese delle collisioni tra stelle neutroniche. Inoltre, sono stati controllati i rivelatori di onde gravitazionali, ma senza rilevare segnali significativi.
Le osservazioni condotte con il XMM-Newton hanno mostrato esclusivamente la presenza di gas caldo e stelle all’interno della galassia. La co-autrice dello studio, la Dr. Michela Rigoselli, ha spiegato che in caso di un’esplosione di raggi gamma breve, ci si sarebbe attesi di osservare una diminuzione della sorgente di raggi X proveniente dalla posizione dell’evento, ma tale fenomeno non è stato riscontrato.
Attraverso l’utilizzo di telescopi ottici a terra, come il Telescopio Nazionale Galileo italiano e l’Osservatorio di Haute-Provence francese, sono state effettuate ricerche nella luce visibile poche ore dopo l’esplosione, senza tuttavia rilevare alcun segnale significativo.
Basandosi sull’assenza di segnali nei raggi X e nella luce visibile, nonché sulla mancanza di onde gravitazionali rilevate dai rivelatori sulla Terra (LIGO/VIRGO/KAGRA), il team ha concluso che l’evento era attribuibile a un magnetar.
M82 è considerata una galassia di formazione stellare, caratterizzata dalla produzione intensa di nuove stelle. Alcune di queste stelle, vivendo rapidamente e morendo giovani, diventano supernove, lasciando dietro di sé stelle neutroniche e, in alcuni casi, magnetar. Questi ultimi presentano un campo magnetico un trilione di volte più potente rispetto a quello terrestre, suggerendo che potrebbe trattarsi di una caratteristica temporanea tipica delle stelle neutroniche giovani.
Questa scoperta apre nuove prospettive nella ricerca dei magnetar, suggerendo che le galassie di formazione stellare come M82 possano rappresentare luoghi privilegiati per osservare tali fenomeni. Gli astronomi continueranno a monitorare attentamente eventuali nuove brillanze provenienti da questa affascinante galassia.
Lo studio dettagliato di questo evento è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature, confermando l’importanza e la rilevanza scientifica di questa straordinaria scoperta.
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