Vongole e altri molluschi bivalvi: il segreto per una vita più lunga?

Fotografia di un Ocean Quahog (Arctica islandica)

Leonardo da Vinci? *tira una boccata di sigaretta* Non sento quel nome da molto tempo. (iNaturalist/Bernard Picton (CC BY 4.0))

Un team di ricercatori di Bologna ha scoperto che le vongole e altri molluschi bivalvi potrebbero custodire il segreto per una vita più lunga. Mentre gli esseri umani stanno vivendo più a lungo che mai, ci sono altre specie che superano di gran lunga la nostra longevità. Tartarughe giganti, balene boreali e squali della Groenlandia possono vivere rispettivamente fino a 191, oltre 200 e 400 anni.

I ricercatori hanno deciso di studiare le vongole e i loro cugini per capire cosa potrebbe essere responsabile delle loro eccezionali vite lunghe. Hanno esaminato i genomi di quattro specie di bivalvi, tra cui Arctica islandica, che è stata registrata come l’animale non coloniale più longevo con i suoi 507 anni. Hanno anche esaminato altre 29 specie con durate di vita normali.

Confrontando i dati genomici, il team ha individuato i geni che differenziano i bivalvi longevi da quelli a vita breve. Hanno scoperto che molti di questi geni erano già stati associati alla longevità in altre specie. Hanno anche identificato alcune proteine che potrebbero avere un ruolo nella regolazione della longevità.

Nonostante queste scoperte, i ricercatori avvertono che la longevità è un processo complesso e difficile da analizzare. Richiede una manipolazione approfondita dei dati e diversi approcci complementari. Tuttavia, queste nuove informazioni potrebbero essere un grande passo verso una migliore comprensione dell’invecchiamento e di come manipolarlo a nostro vantaggio.

I ricercatori sono entusiasti di continuare a lavorare su queste scoperte e sperano che la disponibilità di dati omici permetta di esplorare altre specie in futuro. Ritengono che la ricerca sull’invecchiamento possa trarre grandi benefici dall’osservazione del mondo naturale che ci circonda. L’articolo è stato pubblicato sulla rivista Genome Biology and Evolution.

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