L’universo è un luogo pieno di misteri e fenomeni spaventosi. Tra la Materia Oscura e l’Energia Oscura che ci circondano, anche alcune delle cose che possiamo vedere sembrano inquietanti, come ad esempio la nebulosa chiamata “La Mano di Dio”. Questa nebulosa, conosciuta anche come MSH 15-52 o PSR B1509-58, è il risultato di una stella morta, precisamente di un pulsar che si è formato da un’esplosione di supernova avvenuta 1.600 anni fa. Il pulsar è una stella di neutroni che ruota velocemente, emettendo getti di materia e antimateria dai suoi poli, oltre a un potente vento. Questo vento raccoglie il materiale espulso durante e prima dell’esplosione di supernova. La forma della nebulosa, che sembra una mano scheletrica, è dovuta alla pareidolia, un fenomeno che fa percepire forme riconoscibili in oggetti astratti. La NASA ha dedicato 17 giorni di osservazione dell’Imaging X-ray Polarimetry Explorer (IXPE) a questa nebulosa, ottenendo dati che hanno permesso di creare un’immagine dettagliata. Grazie a questi dati, è stata mappata per la prima volta la struttura del campo magnetico nella nebulosa. Le particelle cariche che producono i raggi X si muovono lungo il campo magnetico, determinando la forma della nebulosa, come le ossa nella mano di una persona. L’IXPE non raccoglie solo raggi X, ma ne cattura anche la polarizzazione, fornendo informazioni che i precedenti telescopi a raggi X non potevano ottenere. Si è scoperto che vaste parti della nebulosa sono insolitamente polarizzate, il che indica la presenza di un campo magnetico potente, rettilineo e uniforme. In passato, l’Australia Telescope Compact Array aveva utilizzato la polarizzazione delle onde radio per studiare i campi magnetici della nebulosa, ma i raggi X hanno fornito informazioni più precise. I ricercatori hanno anche osservato che la magnetizzazione varia notevolmente all’interno della nebulosa. Il getto più luminoso, che forma il polso della mano, inizialmente non è molto polarizzato a causa di campi magnetici intrecciati in una regione turbolenta. Man mano che il getto si allontana dal pulsar, le linee di campo si raddrizzano e la polarizzazione aumenta. Questo suggerisce che le particelle vengono accelerate nelle regioni turbolente prima di fluire verso le zone in cui il campo magnetico è più rettilineo. Oltre alla nebulosa “La Mano di Dio”, l’IXPE ha dedicato del tempo anche ad altri pulsar recentemente formati nella nostra galassia, come le nebulose del Granchio e Vela, che sono il risultato di supernove avvenute rispettivamente 1.000 e 11.000 anni fa. I risultati delle osservazioni indicano che queste nebulose presentano campi magnetici simili, suggerendo che siano una caratteristica comune delle nebulose di vento. Lo studio completo è stato pubblicato su The Astrophysical Journal.
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