Le nuove tariffe di Trump e il loro impatto globale
Il 2 aprile, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato l’introduzione di nuove tariffe su una vasta gamma di paesi. Questa iniziativa va oltre le mere considerazioni economiche e riflette una visione del mondo intrinsecamente antagonista. Dalla sua rielezione, Trump ha avviato misure tariffarie senza precedenti, coinvolgendo sia alleati storici che rivali strategici. Questo segna un cambiamento radicale nella politica commerciale di Washington, che non solo irrigidisce le posizioni già assunte durante il primo mandato, ma le amplifica attraverso una manifestazione di potere senza freni. Come nel 2017, quando descriveva gli Stati Uniti come vittime di un “American carnage”, Trump dipinge un quadro apocalittico della nazione, sostenendo che essa sia stata derubata da paesi sia amici che nemici. Questa narrazione drammatica è accompagnata da una duplice promessa di liberazione e di un ritorno a una nuova età dell’oro.
Le tariffe come strumenti di una crociata nazionalista
In questo contesto, le tariffe si trasformano in strumenti di una crociata nazionalista, dove ogni importazione è percepita come un attacco alla sovranità. La dottrina commerciale di Trump si inserisce in una strategia più ampia, caratterizzata da un confronto diretto e un potere esecutivo centralizzato. Le sue misure tariffarie non si limitano a proteggere l’industria domestica; mirano a rimodellare l’ordine globale secondo la sua interpretazione degli interessi nazionali. Questo secondo atto della rivoluzione trumpista non rappresenta una semplice ripetizione, ma un’escalation alimentata da ambizioni autoritarie e da un rifiuto del multilateralismo. Il disprezzo totale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e la glorificazione della sovranità pura sono evidenti in questo nuovo approccio.
La logica economica dietro le politiche tariffarie
La logica economica che sostiene queste politiche appare fragile e rivelatrice. Il metodo di calcolo adottato, che consiste nel dividere il deficit commerciale bilaterale per i volumi di importazione, si rivela essere poco più di uno strumento grossolano per attaccare i paesi con cui gli Stati Uniti presentano un deficit. Ufficialmente, l’obiettivo è ridurre i deficit commerciali, riportare posti di lavoro e aumentare le entrate. Tuttavia, l’agenda sottostante è ben più profonda: si tratta di consolidare il potere presidenziale e sostituire la cooperazione globale con una dottrina di dominio economico. La guerra commerciale con la Cina ha portato a un aumento dei prezzi per i consumatori e ha inflitto gravi danni agli esportatori agricoli statunitensi, dimostrando i limiti di questa strategia.
Il protezionismo come risposta a una percezione di minaccia
Il protezionismo di Trump non è un fenomeno recente, ma piuttosto il culmine di un’ossessione di lunga data. Già nel 1987, si lamentava di surplus commerciali del Giappone nei confronti degli Stati Uniti, invocando tariffe elevate su Tokyo. Espressioni come “derubati” rivelano una paura quasi paranoica di umiliazione o tradimento nazionale. Questo riflette un impulso profondo a riaffermare la dominanza in un mondo percepito come ostile e conflittuale. Oggi, ogni aspetto è riformulato come una questione di sovranità, dalle terre rare ai flussi di dati. Questa visione riecheggia il pivot imperialista della fine del XIX secolo, evidenziando la necessità di afferrare risorse prima che qualcun altro lo faccia.
La competizione come minaccia e non come opportunità
In questa visione del mondo, la competizione non è considerata una fonte di innovazione, ma una minaccia da eliminare. L’obiettivo non è rendere l’America più competitiva, ma sabotare la competitività degli altri. Gli Stati Uniti non si presentano più come una nazione democratica che opera secondo le regole dei mercati globali. Al contrario, agiscono come una corporazione determinata a garantire il potere monopolistico. Questo spostamento verso l’autoritarismo risuona con i principali pensatori trumpisti, che sostengono che capitalismo e competizione siano opposti. I tagli al governo federale e la deregulation radicale non mirano a liberare i mercati, ma a consolidare il controllo e affermare la dominanza.
Conclusioni sulle politiche tariffarie di Trump
L’annuncio del 2 aprile va ben oltre una semplice decisione economica. Si tratta di una dichiarazione politica audace, un passo deliberato verso un nuovo ordine mondiale fondato sulla forza e sulla lealtà. C’è una continuità innegabile con il primo mandato di Trump, ma questa volta la scala, il radicalismo e la concentrazione di potere rappresentano un’escalation decisiva. Trump sembra trattare lo stato come una sua proprietà personale, plasmando un modello autoritario in cui il commercio diventa un’arma in un nuovo tipo di guerra fredda globale. In questa logica, la prosperità non è più un obiettivo nazionale condiviso, ma un privilegio riservato a coloro che detengono il potere.