Scoperte sorprendenti nella Fossa delle Marianne
Un’escursione condotta da un team di scienziati cinesi nelle profondità marine della Fossa delle Marianne ha rivelato una sorprendente varietà di forme di vita che prosperano in ambienti un tempo considerati inospitali. Il sottomarino Fendouzhe, progettato per trasportare tre ricercatori a quasi 11.000 metri sotto il livello del mare, ha effettuato immersioni tra agosto e novembre 2021, raccogliendo centinaia di campioni biologici. I risultati di questa ricerca sono stati pubblicati in articoli sulla rivista scientifica Cell, offrendo nuove prospettive sulla genetica e sulle strategie di sopravvivenza delle specie adattate a condizioni estreme di oscurità, freddo e pressione schiacciante tipiche della zona hadale. Queste scoperte non solo ampliano la nostra comprensione della vita marina, ma pongono anche interrogativi sulle potenzialità di vita in ambienti estremi.
Il progetto di ricerca MEER e le sue scoperte
Il progetto di ricerca, noto come Mariana Trench Environment and Ecology Research, ha coinvolto un team di scienziati, tra cui Weishu Zhao, un microbiologo specializzato in organismi estremofili dell’Università Jiao Tong di Shanghai. Zhao ha descritto la sua esperienza durante la discesa del sottomarino, evidenziando come gli organismi bioluminescenti brillassero nell’oscurità, rivelando una vivace varietà di plancton. Questa scoperta ha messo in discussione le convinzioni consolidate riguardo alla vita in questo ambiente estremo. Zhao ha affermato: “In quel momento, ho capito che l’oceano profondo doveva essere un habitat molto più prospero di quanto avessimo mai immaginato”. Le immersioni hanno permesso di raccogliere dati cruciali per comprendere la biodiversità di questo ecosistema unico.
La sorprendente varietà di specie microbiche
Uno degli studi condotti ha rivelato la presenza di oltre 7.000 specie microbiche nella Fossa delle Marianne, di cui ben l’89% risultano completamente nuove per la scienza. Mo Han, co-autore dello studio presso BGI Research, ha sottolineato che questi microrganismi mostrano una sorprendente varietà di strategie di sopravvivenza. Alcuni di essi possiedono genomi piccoli e altamente specializzati, ottimizzati per affrontare la scarsità di luce e nutrienti, mentre altri presentano genomi più ampi e flessibili, capaci di adattarsi a cambiamenti ambientali. Inoltre, molti di questi microbi possiedono geni in grado di degradare composti difficili da metabolizzare, come il monossido di carbonio, un adattamento cruciale per la vita in un ecosistema con risorse alimentari limitate. “La vita trova più di un modo”, ha commentato Han, evidenziando l’ingegnosità della natura.
Le simbiosi tra anfipodi e batteri delle profondità marine
Un altro articolo ha focalizzato l’attenzione su minuscoli anfipodi simili a gamberi, che sembrano prosperare grazie a una simbiosi con batteri delle profondità marine. L’analisi ha rivelato una significativa presenza di batteri del genere Psychromonas nell’intestino di questi anfipodi. I ricercatori ipotizzano che tali microbi possano contribuire alla produzione di trimetilammina N-ossido, un composto fondamentale per stabilizzare i fluidi corporei sotto alta pressione, un adattamento essenziale per gli organismi che abitano a profondità schiaccianti. Questa interazione simbiotica rappresenta un esempio affascinante di come la vita possa adattarsi e prosperare in condizioni estreme.
Le mutazioni genetiche nei pesci delle profondità oceaniche
Un terzo studio ha esaminato i pesci che vivono a profondità superiori ai 3.000 metri. Il team di ricerca ha identificato una mutazione genetica condivisa che migliora l’efficienza della trascrizione dei geni in proteine, un meccanismo che consente una risposta rapida allo stress ambientale. Confrontando i genomi di 11 specie diverse, i ricercatori hanno potuto stimare il momento in cui varie linee di pesci hanno iniziato a colonizzare il mare profondo. Le anguille, ad esempio, potrebbero essersi spostate verso il basso circa 100 milioni di anni fa, probabilmente per sfuggire all’estinzione di massa che ha colpito le acque più superficiali, mentre i pesci lumaca hanno iniziato a scendere nelle fosse circa 20 milioni di anni fa. Queste scoperte offrono nuove intuizioni sull’evoluzione della vita marina.
Impatto dell’inquinamento umano nelle profondità oceaniche
Nonostante le scoperte di un ecosistema vibrante, i ricercatori hanno anche rinvenuto detriti di origine umana a profondità preoccupanti, tra cui sacchetti di plastica, lattine di soda e persino un cesto della biancheria nella Fossa di Yap. “Questa scoperta ci ha profondamente scioccato”, ha dichiarato Zhao. Tuttavia, i microbi delle profondità marine sembrano avere la capacità di degradare almeno alcuni di questi inquinanti, suggerendo potenziali applicazioni biotecnologiche per affrontare il problema dell’inquinamento. La capacità di questi microrganismi di adattarsi e degradare sostanze inquinanti rappresenta una speranza per la salute degli ecosistemi marini.
Prospettive future per la ricerca nelle fosse oceaniche
Il progetto MEER ha in programma di estendere le sue ricerche ad altre fosse oceaniche in tutto il mondo, considerando che l’80% della zona hadale globale rimane ancora inesplorato. Liang Meng, ricercatore del BGI, ha suggerito che queste aree remote potrebbero nascondere indizi preziosi sulle origini della vita, oltre a forme di vita ancora più straordinarie, perfettamente adattate a condizioni estreme. Sebbene i luoghi più profondi della Terra rimangano avvolti nell’oscurità e in gran parte sconosciuti, ogni nuova spedizione ci avvicina sempre di più a una comprensione più profonda della vita oceanica. La ricerca continua a rivelare la complessità e la bellezza della biodiversità marina, invitando a una maggiore protezione degli oceani.