Attraverso il baratro dello spazio e del tempo che ci separa dall’Universo primordiale, ci sono limiti a ciò che possiamo osservare. La luce proveniente da fonti così remote può rendere difficile persino distinguere oggetti luminosi come galassie nel buio. Tuttavia, grazie all’utilizzo del telescopio spaziale James Webb (JWST), l’umanità ha superato tali limiti in modo straordinario. Recentemente, è stata risolta la presenza di oltre 40 stelle individuali ai margini di una galassia distante, il cui segnale luminoso ha impiegato quasi 6,5 miliardi di anni per raggiungerci attraverso lo spazio-tempo.
Questa scoperta rivoluzionaria, come sottolinea l’astrofisico Fengwu Sun dell’Università dell’Arizona, apre nuove prospettive nello studio delle galassie lontane. Mentre in passato il Telescopio Spaziale Hubble era riuscito a individuare solo circa sette stelle, ora grazie al JWST siamo in grado di risolvere stelle che prima erano al di là della nostra portata. Questo ci permette di analizzare un numero maggiore di stelle individuali all’interno di galassie remote, offrendoci una visione più dettagliata della materia oscura presente nel piano di lente di tali sistemi stellari, un aspetto che prima era inaccessibile con le sole stelle osservate in precedenza.
Le galassie lontane di solito presentano stelle così piccole che non possono essere distinte individualmente, ma esistono eccezioni. Grazie alla teoria della relatività generale, si verifica un fenomeno noto come lente gravitazionale intorno a masse estremamente grandi con campi gravitazionali intensi. In queste condizioni, lo spazio-tempo si deforma, causando la distorsione, la replicazione e l’ingrandimento della luce che lo attraversa. Un esempio di questo effetto è il Dragon Arc, una formazione luminosa nel cielo che ricorda la figura di un drago cinese, composta da immagini separate della stessa galassia a spirale lontana, distorte dalla lente gravitazionale generata dall’ammasso di galassie Abell 370, situato a 4 miliardi di anni luce di distanza.
Oltre alla lente gravitazionale, nel vuoto tra le galassie dell’ammasso Abell 370 si trovano stelle isolate che contribuiscono a un ulteriore effetto di lente, noto come microlensing. Sfruttando questo fenomeno, un team di astronomi guidato da Yoshinobu Fudamoto dell’Università di Chiba in Giappone è riuscito a risolvere un numero record di 44 stelle individuali nella luce sfocata del Dragon Arc. Questa scoperta ha sorpreso gli studiosi, poiché inizialmente stavano cercando una galassia di sfondo ingrandita dalla lente gravitazionale, ma si sono ritrovati a individuare numerose stelle distinte, aprendo nuove prospettive di ricerca.
Le stelle risolte nel Dragon Arc si sono rivelate essere supergiganti rosse, stelle massicce in fase avanzata della loro evoluzione, caratterizzate da una colorazione rossa e una luminosità inferiore rispetto alle giganti blu e bianche tipiche delle distanze intergalattiche. Queste informazioni forniscono preziosi dettagli sull’evoluzione delle galassie remote e sulle condizioni stellari in contesti estremi. Grazie alla capacità del JWST di rilevare la luce rossa, siamo in grado di individuare oggetti altrimenti invisibili ad altri strumenti.
Ulteriori osservazioni condotte con il JWST sono attese per rivelare ulteriori stelle nascoste nel Dragon Arc, offrendo un’ulteriore finestra sul passato remoto dell’Universo. Questo studio, pubblicato su Nature Astronomy, rappresenta un importante passo avanti nella comprensione dell’Universo primordiale e delle sue intricati meccanismi.
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