Immaginate un pianeta la cui superficie, anziché essere dipinta di verde, risplendeva di una tonalità violacea. Questa visione non è frutto di fantasia, ma il cuore dell’ipotesi della Terra Viola (Purple Earth Hypothesis, PEH), proposta per la prima volta nel 2007 dal biologo molecolare Shiladitya DasSarma. Secondo questa teoria, le prime forme di vita fotosintetiche sulla Terra primordiale non erano basate sulla clorofilla, bensì sulla retina, un pigmento più semplice. Questo avrebbe dato alla biosfera un aspetto magenta, un’immagine ben diversa dalla Terra verde che conosciamo oggi.
Un universo viola nell’Eone Archeano
La PEH colloca questa trasformazione cromatica tra 3,5 e 2,4 miliardi di anni fa, durante l’eone Archeano, un’era che precede il Grande Evento di Ossigenazione e la glaciazione Huroniana. Le membrane cellulari contenenti retina assorbivano intensamente la luce verde-gialla, riflettendo invece la luce rossa e blu. Questo contrasto creava la percezione di un mondo magenta. Al contrario, la clorofilla, che domina la fotosintesi odierna, riflette la luce verde, dando il caratteristico colore alle piante.
La semplicità strutturale della retina, combinata con la scoperta di tracce di antiche membrane archeali nei sedimenti terrestri, suggerisce che le forme di vita primordiali basate sulla retina abbiano preceduto quelle verdi.
Gli abissi viola: gli esempi moderni
Tracce di questa antica biosfera persistono ancora oggi. Gli Haloarchaea, un gruppo di microbi estremofili, utilizzano proteine come la batteriorodopsina per sfruttare l’energia della luce. Questo processo, una forma di fotosintesi anossigenica, genera energia senza produrre ossigeno, differenziandosi significativamente dalla fotosintesi clorofillica. Sebbene rare e circoscritte ad ambienti estremi, queste comunità batteriche offrono uno sguardo diretto a un’epoca remota.
Il verde prevale: dalla retina alla clorofilla
La transizione dal mondo violaceo a quello verde è stata segnata dall’avvento di organismi fotosintetici basati sulla clorofilla, come i cianobatteri. Questi organismi, rilasciando ossigeno come sottoprodotto, trasformarono l’atmosfera terrestre, rendendola ossidante. Questo cambiamento culminò nel Grande Evento di Ossigenazione, che devastò molte forme di vita anaerobiche e aprì la strada all’evoluzione di organismi più complessi.
Nonostante il successo evolutivo della clorofilla, questa creò una sorta di “trappola cromatica”: incapaci di assorbire la luce verde, gli organismi clorofillici finirono per rifletterla, imprimendo così la loro impronta verde sulla biosfera terrestre.
Oltre i confini della Terra: implicazioni astrobiologiche
L’ipotesi della Terra Viola ha profonde implicazioni per la ricerca di vita extraterrestre. Gli astrobiologi hanno tradizionalmente cercato biofirme legate alla clorofilla, come riflessi nello spettro verde-giallo. Tuttavia, se i pigmenti retinici rappresentano una fase primordiale dell’evoluzione fotosintetica, la ricerca dovrebbe estendersi ai pianeti che riflettono luce blu e rossa.
Questo allargamento di prospettiva potrebbe rivelarsi cruciale nella scoperta di mondi abitabili, offrendo una comprensione più ampia della diversità biochimica possibile nell’universo.
Un viaggio cromatico nel tempo
L’ipotesi della Terra Viola non è solo una teoria sulla storia del nostro pianeta, ma un invito a ripensare l’evoluzione della vita in un contesto cosmico. Racconta di un mondo perduto, un passato in cui la luce solare incontrava molecole semplici per dare vita a un’esplosione di colore e energia. In questo viaggio, il magenta delle origini e il verde del presente s’intrecciano, rivelando l’incredibile complessità della vita.
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