La malattia di Alzheimer è ancora avvolta da molti misteri, ma uno degli aspetti che sta attirando l’attenzione dei ricercatori è il legame tra la qualità del sonno e il decorso della malattia.
Uno studio condotto nel 2023 ha rivelato che l’utilizzo di farmaci per dormire potrebbe influenzare l’accumulo di proteine tossiche nel liquido cerebrospinale che svolge un ruolo cruciale nella pulizia del cervello durante il sonno.
I ricercatori dell’Università di Washington a St. Louis hanno condotto un esperimento su un gruppo di individui che hanno assunto suvorexant, un farmaco comunemente prescritto per l’insonnia, per due notti in una clinica del sonno.
I risultati hanno mostrato una leggera diminuzione dei livelli di due proteine, amiloide-beta e tau, associate alla malattia di Alzheimer.
Questo studio, sebbene condotto su un campione limitato di adulti sani, fornisce un’interessante prospettiva sul legame tra il sonno e i marcatori molecolari della malattia di Alzheimer.
I disturbi del sonno potrebbero rappresentare un segnale precoce di sviluppo della malattia, precedendo sintomi più evidenti come la perdita di memoria e il declino cognitivo.
Gli scienziati ipotizzano che favorire un sonno di qualità potrebbe essere una strategia per prevenire l’insorgenza dell’Alzheimer, consentendo al cervello di eliminare le proteine residue e i rifiuti metabolici accumulati durante il giorno.
Tuttavia, non è consigliabile interpretare i risultati dello studio come un incoraggiamento all’uso sistematico di suvorexant o di altri farmaci per dormire come misura preventiva contro l’Alzheimer.
Il neurologo Brendan Lucey, responsabile della ricerca presso il Centro di Medicina del Sonno dell’Università di Washington, ha sottolineato che l’assunzione prolungata di tali farmaci può comportare dipendenza e interferire con la qualità del sonno profondo, essenziale per il benessere cerebrale.
Il team di ricerca ha esaminato l’effetto del suvorexant sui livelli di amiloide-beta e tau nel liquido cerebrospinale dei partecipanti, rilevando una riduzione significativa dei primi con l’assunzione del farmaco.
Tuttavia, l’effetto sulle forme modificate della proteina tau è stato temporaneo e non ha mostrato una diminuzione duratura nel tempo.
Questi risultati suggeriscono che migliorare la qualità del sonno potrebbe influenzare i marcatori molecolari dell’Alzheimer, ma ulteriori ricerche sono necessarie per confermare tali ipotesi.
L’approccio terapeutico basato sul miglioramento del sonno potrebbe rappresentare una nuova frontiera nella prevenzione della malattia di Alzheimer, tuttavia, è importante considerare che la complessa patologia dell’Alzheimer richiede approcci multidimensionali e personalizzati.
L’ottimismo di Lucey riguardo allo sviluppo di farmaci che sfruttano il legame tra sonno e Alzheimer per prevenire il declino cognitivo è supportato da una crescente consapevolezza dell’importanza del sonno nella salute cerebrale.
In conclusione, sebbene le pillole per dormire possano offrire benefici potenziali nel contesto della malattia di Alzheimer, è fondamentale approfondire la comprensione dei meccanismi sottostanti e valutare attentamente i rischi e i benefici di tali trattamenti.
Il futuro della ricerca sull’Alzheimer potrebbe riservare nuove scoperte che integrino il ruolo del sonno nella prevenzione e nel trattamento di questa complessa patologia.
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