Se cercate un’esperienza unica per intrattenere familiari e amici, perché non lasciarvi trasportare dall’incanto di un antico gioco da tavolo rinvenuto nella suggestiva città di Shahr-i Sokhta, nel sud-est dell’Iran? Scoperto quasi mezzo secolo fa, nel 1977, questo reperto affascinante ha finalmente svelato i suoi segreti grazie all’ingegno degli esperti, che hanno ricostruito regole plausibili per riportarlo in vita.
Dagli abissi del tempo è emerso un set completo, composto da una scacchiera decorata, ventisette pezzi elaborati, venti spazi circolari destinati a contenerli, e quattro dadi dalla forma unica. Rinvenuto in una tomba risalente a circa 4.500 anni fa, il gioco offre un vivido scorcio su un passato lontano. Pur richiamando alla mente il celebre Gioco Reale di Ur, le peculiarità del ritrovamento di Shahr-i Sokhta lo rendono un enigma unico nel suo genere.
Decifrare il mistero: una sfida tra archeologia e innovazione
Sam Jelveh, informatico dell’Università dell’Essex, e l’archeologo indipendente Hossein Moradi hanno intrapreso un’impresa affascinante: ricostruire le regole del gioco. Grazie a un sapiente intreccio di analisi fisica e modelli matematici, elaboratori hanno una proposta coerente che getta luce su come questo passatempo potesse animare le serate di una civiltà ormai perduta.
Il tabellone, ispirato alla sinuosa figura di un serpente, si divide in tre sezioni: una parte centrale dove si dispongono i pezzi, un ponte che rappresenta un percorso di transizione e una testa e coda serpentina, probabili simboli di vittoria e sconfitta. I giocatori avrebbero usato i dadi per avanzare, cercando di superare l’avversario in astuzia e velocità.
Un’arte complessa di strategia e fortuna
I pezzi del gioco, secondo l’interpretazione degli studiosi, avevano ruoli specifici: due schiere di dieci pedine rappresentavano i “corridori”, mentre pezzi a forma di stella fungevano da rifugi sicuri e quelli a forma di cono da bloccanti. Questa complessità conferisce al gioco una dimensione strategica che, combinata alla casualità dei dadi, promette un’esperienza di grande coinvolgimento.
L’ipotesi di gioco è stata testata da cinquanta partecipanti moderni, che hanno valutato positivamente l’originalità e la giocabilità delle regole proposte. Sebbene non possiamo conoscere con certezza le dinamiche esatte del gioco antico, le ricostruzioni attuali si armonizzano perfettamente con i materiali rinvenuti, offrendo una finestra su un intrattenimento che univa abilità e fortuna.
Una finestra sul passato
Shahr-i Sokhta, all’apice del suo splendore nel terzo millennio aC, era un centro pulsante sull’altopiano iranico orientale. Il gioco qui ritrovato, risalente al periodo 2600-2400 aC, rappresenta solo uno dei tanti esempi di una tradizione ludica fiorente. Più di cento giochi analoghi sono stati scoperti in questa regione, variando per materiali e dettagli, a testimonianza della vivacità culturale e dell’inventiva dei popoli dell’epoca.
Nonostante l’incertezza sul nome originale di questo passatempo – definito dagli archeologi “il gioco dei venti quadrati” – il suo fascino risiede nell’immenso valore storico e simbolico. Rivivendolo oggi, possiamo immaginare le mani antiche che l’hanno giocato, trasportandoci in un’epoca in cui anche un semplice gioco da tavolo era specchio di un mondo ricco di significati.
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