La ricerca condotta dalla professoressa Chelsey Geralda Armstrong dell’Università Simon Fraser (SFU) ha portato alla luce nuove scoperte sul DNA della nocciola a becco, rivelando che i popoli indigeni della Columbia Britannica erano coinvolti nella coltivazione e nel commercio di questa pianta ben 7.000 anni fa. Questa antica pratica ha avuto un impatto significativo sul territorio, plasmandolo in modo sostenibile e sfidando le concezioni coloniali dei paesaggi incontaminati. Lo studio, pubblicato di recente nelle Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), riveste un’importanza fondamentale nel contesto scientifico.
Il team multidisciplinare di scienziati, guidato dalla professoressa Armstrong, ha decodificato il DNA della nocciola a becco (Corylus cornuta), una pianta nativa che prospera nella regione della Columbia Britannica. Questo approccio innovativo ha permesso di gettare nuova luce sul modo in cui i popoli indigeni ancestrali hanno gestito le piante in tutta la provincia, dimostrando che la gestione attiva della nocciola era diffusa su scala continentale sin da tempi antichi.
Contrariamente alla convinzione diffusa che i popoli indigeni non abbiano influenzato il territorio, lo studio di Armstrong sottolinea come le comunità indigene abbiano giocato un ruolo attivo nella coltivazione e nel commercio della nocciola a becco. Questo approccio sfida le narrazioni coloniali dei coloni e mette in luce l’importanza dell’esperienza ambientale indigena nella modellazione del paesaggio.
Armstrong, in qualità di etnoecologa e archeologa, si è dedicata a esplorare i legami tra gli esseri umani e l’ambiente, collaborando con anziani indigeni e custodi della conoscenza per approfondire la comprensione di come le piante siano state gestite nel passato remoto. Attraverso la raccolta di tradizioni orali e l’analisi genetica della nocciola a becco, il team ha evidenziato come le azioni umane abbiano contribuito alla diffusione e alla gestione selettiva di questa pianta preziosa.
L’analisi del DNA ha rivelato tracce di commercio e trapianto di piante su lunghe distanze, supportate anche dalle somiglianze linguistiche tra le comunità indigene della Columbia Britannica. Questo approccio interdisciplinare ha permesso di mappare la distribuzione geografica della nocciola a becco e di evidenziare come le pratiche di gestione attiva abbiano contribuito all’aumento della diversità genetica della pianta.
In particolare, lo studio ha identificato cluster genetici unici nel bacino idrografico di Skeena, associati alle popolazioni indigene locali come i Gitxsan, Ts’msyen e Nisga’a. Questa scoperta supporta le rivendicazioni territoriali indigene nella regione e sottolinea l’importanza di riconnettersi con la scienza indigena per promuovere la sicurezza alimentare e la sostenibilità ambientale.
Jesse Stoeppler, custode della terra Gitxsan e co-direttore esecutivo della Coalizione del bacino idrografico di Skeena, sottolinea l’importanza di valorizzare le conoscenze tradizionali per sostenere l’economia e l’ambiente delle comunità indigene. La storia millenaria di gestione sostenibile della terra e delle piante dimostra che il passato può offrire preziose lezioni per affrontare le sfide attuali e garantire la sovranità alimentare delle comunità.
In conclusione, lo studio di Armstrong conferma l’importanza della diversità genetica e della gestione attiva delle piante per promuovere la sostenibilità ambientale, sottolineando come le pratiche ancestrali dei popoli indigeni abbiano contribuito a modellare il paesaggio e a garantire la prosperità delle comunità nel lungo termine.
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