Recenti studi hanno osservato con successo onde d’urto magnetiche nella rete cosmica esaminando le emissioni radio tra i cluster di galassie. Questo risultato, confermato confrontando i modelli di luce polarizzata con simulazioni avanzate, apre nuove strade per comprendere i campi magnetici cosmici e il loro ruolo nella struttura dell’Universo.
Comprendere la Rete Cosmica
Sulle scale più grandi, l’Universo forma una vasta struttura simile a una rete. Le galassie si raggruppano in cluster, collegati da filamenti sottili simili a fili, con ampi vuoti vuoti tra di essi. Sia i cluster che i filamenti sono composti da materia oscura oltre alla materia regolare, come gas e galassie. Questa struttura intricata è nota come rete cosmica. Gli astronomi possono osservarla mappando le posizioni e le densità delle galassie attraverso ampie indagini condotte con telescopi ottici.
Gli scienziati credono che la rete cosmica sia anche intessuta di campi magnetici. Questi campi sono generati da particelle energetiche in movimento, che i campi stessi aiutano a dirigere. Le teorie suggeriscono che mentre la gravità stringe un filamento, si formino onde d’urto, rafforzando i campi magnetici e producendo una luce fioca rilevabile dai radiotelescopi.
Avanzamento nelle Osservazioni Cosmiche
Nella ricerca pubblicata, abbiamo per la prima volta osservato queste onde d’urto attorno a coppie di cluster di galassie e ai filamenti che li collegano. In passato, abbiamo osservato direttamente queste onde d’urto radio solo dalle collisioni tra cluster di galassie. Tuttavia, crediamo che esse esistano attorno a piccoli gruppi di galassie, così come nei filamenti cosmici.
Ci sono ancora delle lacune nella nostra conoscenza di questi campi magnetici, come la loro forza, come si sono evoluti e qual è il loro ruolo nella formazione di questa rete cosmica. Rilevare e studiare questa luce potrebbe non solo confermare le nostre teorie su come si è formata la struttura su larga scala dell’Universo, ma anche aiutare a rispondere a domande sui campi magnetici cosmici e la loro importanza.
Sfide del Rilevamento
Ci aspettiamo che questa luce radio sia sia molto fioca che diffusa su vaste aree, il che significa che è molto difficile rilevarla direttamente. Inoltre, le galassie stesse sono molto più luminose e possono nascondere questi segnali cosmici fioci. Per rendere ancora più difficile, il rumore proveniente dai nostri telescopi è di solito molto più grande della luce radio attesa.
Per questi motivi, anziché osservare direttamente queste onde d’urto radio, abbiamo dovuto essere creativi, utilizzando una tecnica nota come stacking. Questo avviene quando si media insieme le immagini di molti oggetti troppo fioci per essere visti individualmente, il che diminuisce il rumore, o piuttosto aumenta il segnale medio sopra il rumore.
Tecniche Avanzate in Radioastronomia
Quindi cosa abbiamo messo insieme? Abbiamo trovato più di 600.000 coppie di cluster di galassie che sono vicine tra loro nello spazio, e quindi probabilmente sono collegati da filamenti. Abbiamo quindi allineato le nostre immagini in modo che qualsiasi segnale radio proveniente dai cluster o dalla regione tra di essi, dove ci aspettiamo che siano le onde d’urto, si sommassero.
Abbiamo utilizzato per la prima volta questo metodo in un articolo pubblicato nel 2021 con dati provenienti da due radiotelescopi: il Murchison Widefield Array in Australia Occidentale e l’Owens Valley Radio Observatory Long Wavelength Array in Nuovo Messico. Questi sono stati scelti non solo perché coprivano quasi tutto il cielo, ma anche perché operavano a basse frequenze radio dove ci si aspetta che questo segnale sia più luminoso.
Nel primo progetto, abbiamo fatto una scoperta entusiasmante: abbiamo trovato una luce tra le coppie di cluster! Tuttavia, poiché era una media di molti cluster, tutti contenenti molte galassie, era difficile dire con certezza che il segnale provenisse dai campi magnetici cosmici, piuttosto che da altre fonti come le galassie.
Una Rivelazione ‘Scioccante’
Normalmente i campi magnetici nei cluster sono mescolati a causa della turbolenza. Tuttavia, queste onde d’urto costringono i campi magnetici in ordine, il che significa che la luce radio che emettono è altamente polarizzata. Abbiamo deciso di provare l’esperimento di stacking su mappe di luce radio polarizzata. Questo ha il vantaggio di aiutare a determinare cosa sta causando il segnale.
I segnali dalle galassie regolari sono polarizzati solo al 5% o meno, mentre i segnali dalle onde d’urto possono essere polarizzati al 30% o più. Nel nostro recente lavoro, abbiamo utilizzato dati radio provenienti dal Global Magneto Ionic Medium Survey così come dal satellite Planck per ripetere l’esperimento. Queste indagini coprono quasi tutto il cielo e hanno mappe radio polarizzate e regolari.
Risultati e Prossime Direzioni
Abbiamo rilevato anelli molto chiari di luce polarizzata che circondano le coppie di cluster. Ciò significa che i centri dei cluster sono depolarizzati, il che è atteso poiché sono ambienti molto turbolenti. Tuttavia, ai margini dei cluster, i campi magnetici vengono messi in ordine grazie alle onde d’urto, il che significa che vediamo questo anello di luce polarizzata.
Abbiamo anche trovato un eccesso di luce altamente polarizzata tra i cluster, molto più di quanto ci si aspetterebbe solo dalle galassie. Possiamo interpretare ciò come luce dagli urti nei filamenti di collegamento. Questa è la prima volta che tali emissioni sono state trovate in questo tipo di ambiente.
Abbiamo confrontato i nostri risultati con simulazioni cosmologiche all’avanguardia, le prime del loro genere a prevedere non solo il segnale totale dell’emissione radio ma anche il segnale polarizzato. I nostri dati concordavano molto bene con queste simulazioni, e combinandoli siamo in grado di comprendere il segnale del campo magnetico rimasto dall’Universo primordiale.
In futuro, vorremmo ripetere questa rilevazione per diversi momenti della storia dell’Universo. Ancora non conosciamo l’origine di questi campi magnetici cosmici, ma ulteriori osservazioni come questa possono aiutarci a capire da dove provengono e come si sono evoluti.
Scritto da: Tessa Vernstrom – Ricercatrice senior, Università di Western Australia Christopher Riseley – Ricercatore, Università di Bologna Adattato da un articolo originariamente pubblicato su The Conversation
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