Scoperta una stella che ruota a una velocità incredibile di 716 volte al secondo

Una stella di neutroni che ruota 716 volte al secondo: una scoperta che potrebbe rivoluzionare la nostra comprensione delle stelle più estreme dell'Universo.

Una stella morta, situata a ben 27.400 anni luce di distanza, sembra possedere una delle “discoteche stellari” più straordinarie mai osservate. Nel sistema binario 4U 1820-30, una stella di neutroni compie delle rotazioni incredibili, raggiungendo una velocità di ben 716 giri al secondo. Ad oggi, non sono state scoperte stelle che ruotano più velocemente, ad eccezione della famosa pulsar PSR J1748-2446ad, che però non supera questa soglia.

Questa scoperta, effettuata da un team di ricerca guidato dall’astrofisica Gaurava Jaisawal dell’Università Tecnica della Danimarca, conferma quello che attualmente è il limite teorico superiore per la velocità di rotazione delle stelle di neutroni, stimato in circa 730 rotazioni al secondo.

“Stavamo studiando le esplosioni termonucleari di questo sistema e, durante l’osservazione, abbiamo notato delle oscillazioni straordinarie”, ha dichiarato Jaisawal. “Se i dati raccolti verranno confermati, la stella di neutroni 4U 1820-30 diventerà uno degli oggetti a rotazione più veloce mai osservati nell’intero Universo.”

Le stelle di neutroni rappresentano una delle fasi evolutive finali di una stella massiccia. Una stella che ha una massa tra 8 e 30 volte quella del Sole, dopo aver esaurito il combustibile nel suo nucleo, subisce un collasso che può portare a una violenta esplosione di supernova, espellendo il materiale esterno, mentre il nucleo collassa sotto la gravità, dando origine alla stella di neutroni. Questi oggetti estremamente compatti possiedono una massa che va da 1,1 a 2,3 volte quella del Sole, ma sono compressi in una sfera di soli 20 chilometri di diametro. È difficile trovare parole per descrivere la loro densità: la materia che le compone può diventare davvero strana, così come i loro comportamenti.

Esistono diversi modi per classificare le stelle di neutroni a seconda del loro comportamento. Una magnetar, per esempio, è una stella di neutroni con un campo magnetico estremamente potente. Una pulsar, invece, è una stella di neutroni che ruota a velocità vertiginose, emettendo fasci di onde radio dai suoi poli. Questi fasci si propaggiano nello spazio, facendola sembrare un faro cosmico che pulsa costantemente.

4U 1820-30 è stato identificato già negli anni ’80 e si trova nella costellazione del Sagittario. È un sistema binario che include una stella di neutroni e una nana bianca, con un’orbita incredibilmente stretta che le fa completare un giro in soli 11,4 minuti. La vicinanza delle due stelle è tale che la stella di neutroni riesce a “cannibalizzare” la sua compagna, prelevandole il materiale, che poi si accumula sulla sua superficie. Man mano che questa massa aumenta, diventa sempre più densa e calda, finché non esplode in una violenta reazione termonucleare.

È stato proprio durante lo studio di queste esplosioni che Jaisawal e il suo team, utilizzando il Neutron Star Interior Composition Explorer (NICER), il telescopio a raggi X a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, hanno registrato 15 di queste esplosioni tra il 2017 e il 2022. Tuttavia, quando hanno analizzato i dati, hanno trovato qualcosa di davvero inusuale: una delle esplosioni presentava una firma particolare, un’oscillazione con una frequenza di 716 Hertz. Sembrava quasi che la stella stesse ruotando mentre eruttava.

I ricercatori hanno quindi ipotizzato che la stella di neutroni 4U 1820-30 fosse una pulsar a raggi X, con un periodo di 716 rotazioni al minuto, alimentata da esplosioni termonucleari. Se questa scoperta venisse confermata, 4U 1820-30 sarebbe la pulsar nucleare più veloce mai conosciuta, superando anche la pulsar radio PSR J1748-2446ad.

Tuttavia, saranno necessarie ulteriori osservazioni per confermare i risultati. Se dovessero essere validati, questi nuovi dati offriranno agli scienziati uno strumento in più per studiare le stelle di neutroni e per capire fino a che punto possano arrivare prima di autodistruggersi.

Fonte: https://iopscience.iop.org/article/10.3847/1538-4357/ad794e