Nella maggior parte dei casi, i buchi neri sono stati osservati come parte di un sistema binario, dove uno di questi oggetti estremamente densi forma una coppia gravitazionale con un’altra stella, una stella di neutroni compatta o persino un altro buco nero. Questo sistema triplo, invece, amplia la nostra comprensione sia degli oggetti che i buchi neri possono attrarre che delle loro modalità di formazione. La presenza di un secondo oggetto così distante, ancora stabilmente influenzato dalla gravità del buco nero centrale, spinge a rivedere le ipotesi sull’origine di questo buco nero.
Di norma, si ritiene che i buchi neri derivino dal collasso di una stella massiccia durante una supernova, evento che emette una quantità colossale di energia e radiazione luminosa in un’esplosione finale prima del collasso in un oggetto invisibile. Secondo il gruppo di ricerca, tuttavia, se il buco nero recentemente individuato si fosse formato in seguito a una supernova, la forza dell’esplosione avrebbe disperso qualsiasi corpo celeste presente nelle sue vicinanze, rendendo improbabile la presenza di una stella che orbiti ancora lontana. Al contrario, i ricercatori suggeriscono che il buco nero si sia generato tramite un più lento e stabile “collasso diretto”, un processo durante il quale la stella si ripiega su se stessa fino a diventare un buco nero, senza il rilascio esplosivo caratteristico delle supernovae. In tal caso, l’attrazione gravitazionale sarebbe rimasta intatta e non avrebbe disturbato oggetti distanti ma legati, come la stella secondaria esterna.
Il fatto che questo nuovo sistema a tre componenti includa una stella situata così lontano potrebbe quindi essere la prima conferma di un buco nero originato da un collasso diretto. Mentre le supernovae più violente sono state osservate per secoli, la scoperta di questo sistema triplo segna un possibile esempio di formazione di buco nero mediante un evento di minore intensità. “Pensiamo che la maggior parte dei buchi neri nasca da esplosioni stellari violente, ma questa scoperta potrebbe farci riconsiderare quella convinzione”, ha affermato Kevin Burdge, Pappalardo Fellow al Dipartimento di Fisica del MIT e autore della ricerca.