Scoperte tracce di cocaina nei cervelli mummificati di due persone sepolte in una cripta italiana

La cocaina è arrivata in Italia molto prima di quanto si ipotizzasse: i dettagli della scoperta

La scoperta riscrive la storia sull'arrivo della cocaina in Italia (Foto Pixabay)

É una scoperta che stravolge quello che fino ad oggi si pensava in merito all’arrivo della cocaina in Italia. Infatti sono state rilevate tracce di questa droga nel tessuto cerebrale mummificato di due persone sepolte in una cripta di Milano risalente al XVII secolo. Lo ha rilevato l’Università di Milano in uno studio pubblicato sul Journal of Archaeological Science grazie al quale viene dimostrato che questa sostanza veniva impiegata in Europa due secoli prima di quanto si ipotizzava in precedenza.

Da migliaia di anni le foglia di coca vengono masticate nel Sud America, dove questa pianta è nata; ma soltanto nel XIX secolo, o almeno questo è quanto si pensava, la droga ha preso piede in Europa, dopo essere stata chimicamente isolata dalla pianta. Furono i conquistatori spagnoli i primi del continente ad apprendere le proprietà terapeutiche e psicoattive delle foglie di coca, non diffondendo però la loro conoscenza. Facendo qualche sforzo per l’esportazione della pianta già nel XVI secolo, seppur con qualche difficoltà.

Grazie al team guidato da Gaia Giordano dell’Università di Milano sono venuti a galla una serie di altri elementi che permettono di riscrivere meglio questa storia. Analizzando nove persone decedute nel 1600 e sepolte in una cripta dell’ex ospedale Ca’ Granda, dalle quali sono stati prelevati diversi campioni di tessuto cerebrale per analizzarle la composizione chimica. Lasciando senza parole gli esperti che hanno rilevato, in due di essi, la presenza di tracce di cocaina, che solitamente dopo pochi mesi scompare dal corpo.

Il team ha rilevato anche l’igrina, una sostanza che viene rilasciata in seguito alla masticazione delle foglie di coca. Dal momento che la prescrizione di cocaina come medicinale non viene menzionata nei registri ospedalieri fino al XIX secoli, gli esperti hanno ipotizzato che le due persone in questione si siano automedicati oppure abbiano masticato la pianta a scopo ricreativo. E questo rappresenta una prova che la pianta in alcune occasioni poteva sopravvivere al viaggio dal Sud America ed è la conferma che già nel 1600 fosse disponibile e venisse utilizzata in Europa.