Ereditarietà non genetica nei batteri: un nuovo paradigma evolutivo

Rappresentazione artistica di ciò che accade quando un batterio ha un gene temporaneamente potenziato o soppresso. La prole, quando si divide, mostra le stesse caratteristiche per generazioni, anche con i geni originali.
Rappresentazione artistica delle conseguenze quando un gene di un batterio viene temporaneamente potenziato o soppresso. La prole post divisione mostra le stesse caratteristiche, anche con i geni originali. (Camila Felix/Università Northwestern)

I batteri, secondo uno studio recente, sono in grado di conservare un registro delle influenze ambientali che subiscono, trasmettendo tali informazioni alle generazioni successive durante la divisione cellulare. Questa scoperta si inserisce in un contesto di nuove prospettive che stanno complicando il modo in cui i biologi concepiscono l’evoluzione e la trasmissione delle caratteristiche genetiche. Questo fenomeno potrebbe avere importanti implicazioni nel campo medico, ad esempio nel contrastare la resistenza agli antibiotici.

Un tempo, la teoria della selezione naturale di Darwin e le scoperte di Gregor Mendel sui geni dominanti e recessivi avevano relegato le idee creazioniste ai margini, promuovendo un’interpretazione genocentrica della trasmissione ereditaria. Tuttavia, negli ultimi anni, sono emersi problemi che mettono in discussione questa visione semplicistica.

Un aspetto chiave che ha iniziato a emergere è l’epigenetica, che evidenzia come i geni possano essere attivati o disattivati in risposta alle condizioni ambientali, suggerendo un’immagine più sfumata e complessa rispetto a quella tradizionale. L’autore principale dello studio, il Professore Adilson Motter dell’Università Northwestern, sottolinea che, nonostante l’assunzione comune nella biologia batterica che le caratteristiche ereditabili siano principalmente determinate dal DNA, le informazioni possono essere conservate anche a livello delle relazioni regolatorie tra i geni.

Per esplorare questa prospettiva, il team di ricerca ha utilizzato l’E. coli, un batterio ampiamente studiato per la sua rapidità di replicazione e la relativa semplicità del suo genoma, composto da soli 5.000 geni. Questo ha permesso loro di osservare molte generazioni in breve tempo, senza i complicati fattori presenti negli organismi più complessi.

Secondo Motter, la sfida nella comprensione dei meccanismi ereditari nei batteri risiede nel districare i fattori confondenti, come il bias di sopravvivenza, che possono influenzare i risultati. Tuttavia, lavorando con organismi unicellulari come l’E. coli, è possibile isolare e studiare più agevolmente le cause dell’ereditarietà non genetica, focalizzandosi sui cambiamenti nella regolazione genica.

Il team ha dimostrato che perturbazioni temporanee dei geni dell’E. coli, sia attraverso knockout che sovraespressione transitoria, possono influenzare il comportamento delle cellule anche dopo che lo stato genetico è stato ripristinato. In particolare, hanno individuato che la vicinanza di un gene perturbato a componenti fortemente connessi della rete regolatoria aumenta la probabilità che gli effetti perdurino nel tempo.

Sebbene il team abbia condotto interventi mirati per indurre queste perturbazioni, ritengono che cambiamenti naturali nell’ambiente in cui vivono gli E. coli potrebbero produrre effetti simili, sebbene in modo meno efficiente. Questo fenomeno potrebbe essere analogo a quanto osservato negli esseri umani, come nel caso delle conseguenze a lungo termine della carestia vissuta dai padri durante la Seconda Guerra Mondiale, che sembrano influenzare la predisposizione all’obesità delle generazioni successive.

La ricerca sull’E. coli potrebbe quindi fornire importanti spunti per comprendere i meccanismi di ereditarietà non genetica anche negli organismi più complessi, come gli esseri umani. Gli autori delo studio sperano che tali conoscenze possano essere applicate, ad esempio per rendere i batteri più suscettibili agli antibiotici, in modo da prevenire potenziali problemi di resistenza.

Lo studio completo è disponibile in open access sulla rivista Science Advances.

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