Un team di astrofisici ha recentemente completato il mappaggio della Foresta Lyman-Alpha, fornendo ulteriori prove a sostegno dell’ipotesi che la formazione di galassie e ammassi di galassie sia meglio spiegata dalla presenza di materia oscura rispetto ad altre teorie alternative.
Durante le osservazioni dell’universo, gli astronomi hanno notato che il comportamento delle galassie e degli ammassi di galassie non corrisponde esattamente alle aspettative. In particolare, le stelle ai margini delle galassie si muovono a velocità così elevate (in gran parte, sebbene non in tutte le galassie) che, considerando la quantità di massa visibile presente, dovrebbero essere espulse nello spazio intergalattico.
Esistono spiegazioni alternative a questo fenomeno, come le Dinamiche Newtoniane Modificate (MOND), che suggeriscono una diversa modalità di funzionamento della gravità a basse accelerazioni. Tuttavia, il MOND presenta delle problematiche, e attualmente la teoria più accreditata dalla comunità scientifica è che lo spazio sia pervaso da materia oscura invisibile, che interagisce solamente tramite la forza di gravità con la materia barionica (ovvero la materia visibile).
Per spiegare la dinamica delle galassie e degli ammassi di galassie, si presume che la materia oscura abbia una massa circa dieci volte superiore a quella della materia barionica ordinaria, ma finora non sono state trovate prove dirette della sua natura. I potenziali candidati vanno dalle particelle massive debolmente interagenti (WIMPS) agli assioni e ai buchi neri primordiali, sebbene quest’ultimo stia perdendo credibilità.
Alcuni studiosi hanno ipotizzato che la materia oscura potrebbe essere causata da buchi neri supermassicci che si comportano in modi ancora sconosciuti. In una nuova ricerca condotta dall’Università della California, Riverside, gli astrofisici hanno utilizzato la Foresta Lyman-Alpha per tentare di mappare indirettamente la materia oscura.
Essenzialmente, hanno analizzato la luce proveniente da fonti distanti e tracciato le variazioni di intensità luminosa lungo la lunghezza d’onda dell’idrogeno. Queste variazioni corrispondono alla presenza di materia che la luce ha incontrato nel suo percorso, simile a creare ombre cinesi basandosi sulle silhouette dei personaggi.
Ogni tipo di atomo assorbe la luce in modo caratteristico, lasciando una sorta di firma nello spettro luminoso, il che consente di tracciare la presenza di determinati elementi, in particolare dell’idrogeno, l’elemento più diffuso nell’universo.
Il risultato di questo mappaggio è la cosiddetta “foresta”, che appare come una serie di piccoli alberi. Gli scienziati affermano che analizzando gli spettri luminosi dell’idrogeno è possibile tracciare indirettamente la materia oscura, simile a versare del colorante in un flusso d’acqua e seguirne il percorso.
La materia oscura, gravitando, crea un potenziale gravitazionale che attira il gas di idrogeno, il quale funge da indicatore della presenza di materia oscura. Dove il gas è più concentrato, vi è una maggiore presenza di materia oscura, con l’idrogeno che agisce come il colorante e la materia oscura come l’acqua.
Il team di ricerca suggerisce che le strutture osservate nella mappa risultante potrebbero essere indicative di un’influenza sconosciuta o della presenza di particelle di materia oscura. Tuttavia, nonostante queste osservazioni, il mistero rimane irrisolto poiché non è stata ancora individuata alcuna particella di materia oscura.
Il professor Simeon Bird, autore principale dello studio e docente di fisica e astronomia, ha dichiarato che se i risultati ottenuti verranno confermati dai successivi set di dati, diventerà molto più probabile l’ipotesi di una nuova particella o di una nuova forma di fisica, anziché attribuire le anomalie ai buchi neri.
Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Cosmology and Astroparticle Physics, rappresentando un importante contributo alla comprensione della materia oscura e dei suoi effetti nell’universo.
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