La quarta luna più grande di Urano potrebbe ospitare un oceano di acqua

Scoperte recenti sul ghiaccio e le interazioni atmosferiche di Ariel

Ariel, il quarto satellite naturale per grandezza di Urano in termini di dimensioni e massa, possiede una superficie ricoperta da una significativa quantità di ghiaccio di biossido di carbonio. Questa scoperta è stata confermata da un gruppo di ricerca guidato da Richard Cartwright del Johns Hopkins Applied Physics Laboratory (APL), utilizzando gli spettri ottenuti dal telescopio spaziale James Webb e confrontandoli con spettri di composti chimici simulati in laboratorio.

Il deposito di biossido di carbonio su Ariel potrebbe essere tra i più ricchi del Sistema Solare, con uno spessore di circa 10 millimetri nell’emisfero posteriore della luna. Questo emisfero è sempre rivolto nella direzione opposta a quella del suo moto orbitale, un aspetto sorprendente perché, secondo le conoscenze attuali, qui il biossido di carbonio dovrebbe facilmente trasformarsi in gas e disperdersi nello spazio. Inoltre, dai dati del telescopio Webb emergono segnali chiari della presenza di monossido di carbonio. Un composto che non dovrebbe esserci, perché “Bisogna scendere a circa -243° Celsius prima che il monossido di carbonio sia stabile,” ha spiegato Cartwright. “La temperatura superficiale di Ariel è mediamente di circa 20° più calda.”

Se in passato gli scienziati avevano ipotizzato che fossero le interazioni tra la superficie della luna e le particelle cariche nella magnetosfera di Urano a creare il biossido di carbonio, attraverso il processo di radiolisi, queste nuove scoperte sembrano supportare un’altra teoria. Secondo questa, il biossido di carbonio e altre molecole emergono dall’interno di Ariel, forse addirittura da un oceano liquido sotterraneo.

L’interazione della magnetosfera con le lune di Urano

La magnetosfera di Urano e le sue interazioni con i satelliti naturali del pianeta sono oggetto di studio intenso e discussione. Durante il passaggio della Voyager 2 circa 40 anni fa, si ipotizzava che tali interazioni fossero limitate, a causa dell’inclinazione di circa 58 gradi tra l’asse del campo magnetico di Urano e il piano orbitale delle sue lune. Modelli recenti confermano questa ipotesi, suggerendo che le interazioni siano effettivamente contenute. Questo è il motivo per cui la radiolisi, il processo durante il quale le molecole vengono scomposte dalle radiazioni ionizzanti e che potrebbe essere responsabile della formazione di biossido di carbonio, non è considerata con certezza il principale responsabile.

Un’alternativa è che il biossido e il monossido di carbonio, così come altri minerali carbonatici scoperti dagli spettri di Webb sulla superficie di Ariel, si formino nel sottosuolo, attraverso l’interazione tra acqua liquida e rocce, e poi riemergano in superficie. La superficie di Ariel, infatti, caratterizzata da canyon, solchi e zone più lisce, potrebbe indicare attività criovulcanica passata o in corso. Questa osservazione ha portato i ricercatori a ipotizzare che Ariel potrebbe essere ancora attiva. Le bande di assorbimento confermate e i picchi di scattering associati a ghiaccio d’acqua, ghiaccio di biossido di carbonio e ghiaccio di monossido di carbonio sono mostrati in grassetto, mentre i costituenti suggeriti sono in corsivo e seguiti da un punto interrogativo. Credits: Cartwright et al. 2024.

Un’altra potenziale luna oceanica? Serve una missione per confermarlo

Se confermata, questa scoperta avrebbe rilevanti implicazioni, suggerendo che questi minerali si siano formati all’interno della luna, non solo per processi superficiali, ma attraverso processi chimici avvenuti o in corso in un oceano sotterraneo sotto la superficie ghiacciata. Questi ossidi potrebbero fuoriuscire attraverso fratture nel ghiaccio o, possibilmente, tramite pennacchi eruttivi.

Uno studio del 2023, condotto da Ian Cohen sempre dell’APL, aveva già avanzato l’ipotesi che Ariel o Miranda, un’altra luna di Urano, potrebbero immettere materiale nella magnetosfera di Urano attraverso pennacchi. Questi nuovi dati evidenziano l’importanza e la complessità del sistema di Urano, e molti scienziati planetari attendono con interesse future missioni per esplorare ulteriormente il pianeta e i suoi satelliti.

Sarebbe infatti un’opportunità per ottenere finalmente risposte concrete, possibili solo con una missione dedicata a questo sistema. “Non abbiamo ancora visto molto della superficie della luna,” ha spiegato Cartwright. La Voyager 2, infatti, ha osservato solo circa il 35% della superficie di Ariel durante il suo breve sorvolo. “Non sapremo molto finché non effettueremo osservazioni più mirate.”