Il Mistero della Materia Oscura: Nuove Prospettive Cosmologiche

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Lo studio ha utilizzato la lente gravitazionale per inferire la massa. (NASA; ESA; J. Rigby (NASA Goddard Space Flight Center); e K. Sharon (Kavli Institute for Cosmological Physics, University of Chicago) tramite Flickr (CC BY 2.0))

Le lente gravitazionali delle galassie hanno portato alla luce un enigma che sfida la nostra comprensione della cosmologia: come le galassie riescano a rimanere unite grazie alla presenza della materia oscura. Nel lontano 1933, l’astronomo svizzero Fritz Zwicky si dedicò allo studio del Coma Cluster, un vasto ammasso di galassie con un diametro superiore ai 20 milioni di anni luce, contenente migliaia di galassie. Ciò che scoprì fu sorprendente: le galassie all’interno dell’ammasso si muovevano a velocità così elevate che, considerata la quantità di massa visibile presente, dovrebbero allontanarsi l’una dall’altra. Zwicky ipotizzò che la presenza di una grande quantità di materia oscura fosse necessaria per mantenere stabile l’ammasso. Per rendere più chiara questa idea, possiamo immaginare una corda che tiene insieme un pallone da basket.

Ulteriori ricerche condotte da Vera Rubin e Kent Ford hanno confermato il fenomeno osservato da Zwicky, analizzando le velocità delle stelle all’interno delle galassie a spirale. Scopirono che le stelle ai margini delle galassie si muovevano alla stessa velocità delle stelle più vicine al centro galattico. Questo portò i fisici a concludere che all’interno di queste galassie e ammassi di galassie esiste una sostanza misteriosa chiamata materia oscura, che non emette, riflette o assorbe luce, interagendo solo attraverso la forza di gravità con la materia ordinaria.

Nonostante siano passati quasi cento anni da quando è stata proposta per la prima volta, la natura esatta della materia oscura rimane ancora un enigma. Recentemente, uno studio condotto da un team di scienziati presso la Case Western Reserve University ha portato alla luce osservazioni sorprendenti che potrebbero mettere in discussione i modelli attuali di materia oscura.

Il team ha esaminato un catalogo di 130.000 galassie, analizzando come una galassia in primo piano lenti gravitazionalmente le galassie sullo sfondo. Ciò avviene quando oggetti di grande massa piegano lo spazio-tempo, facendo sì che la luce venga deviata. Le osservazioni hanno rivelato che la curvatura della luce si estendeva a distanze molto maggiori di quanto previsto dai modelli di materia oscura.

Le curve di velocità circolari rimanevano piatte fino a centinaia di kiloparsec, sfidando le aspettative dei modelli esistenti che prevedono una diminuzione delle velocità delle stelle man mano che ci si allontana dal centro galattico. Questo potrebbe indicare che gli aloni di materia oscura si estendono molto più lontano di quanto si pensasse in precedenza, oppure potrebbe suggerire che la nostra comprensione della gravità sia incompleta.

Un grafico che mostra la velocità delle stelle rimane costante fino a 750 chiloparsec.
La velocità di rotazione rimane costante fino a 750 chiloparsec, secondo lo studio.
Case Western Reserve University

Le implicazioni di questa scoperta sono profonde, come sottolineato da Stacy McGaugh, professore di astronomia al College of Arts and Sciences. Questa nuova prospettiva potrebbe ridefinire la nostra comprensione della materia oscura e spingerci a esplorare teorie alternative sulla gravità, mettendo alla prova i fondamenti stessi dell’astrofisica moderna.

Esistono alternative alla teoria della materia oscura, come le Dinamiche Newtoniane Modificate (MOND), che spiegano la strana rotazione delle galassie attraverso modifiche alla gravità. Tuttavia, la materia oscura rimane la spiegazione preferita dalla maggior parte dei fisici poiché consente di fare previsioni sull’universo e sugli oggetti al suo interno.

Nonostante le sfide e le domande ancora aperte, la ricerca continua a portare nuove prospettive e a mettere alla prova le nostre conoscenze. La missione Euclid dell’Agenzia Spaziale Europea potrebbe fornire ulteriori informazioni cruciali mappando la struttura su larga scala dell’Universo. Lo studio è stato pubblicato su Astrophysical Journal Letters.

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