Scoperto oggetto 10 milioni più luminoso del Sole che sfida le leggi della fisica

A 12 milioni di anni luce dalla Terra è stato individuato un oggetto con una luminosità 10 milioni di volte superiore a quella del Sole, che supera il limite di luminosità previsto dalle teorie astrofisiche. Ecco di cosa si tratta.

Nel centro dello spazio profondo, a 12 milioni di anni luce dal nostro pianeta, esiste un oggetto così radiante che sfida le leggi della fisica. È una fonte ultraluminosa di raggi X, nota come ULX (Ultraluminous X-ray source), denominata M82 X-2, situata nella Galassia Sigaro (Messier 82). La sua luminosità supera di oltre 10 milioni di volte quella del Sole e, come evidenziato, a causa della sua intensità eccede il limite previsto da una teoria astrofisica, chiamato limite di Eddington (dal nome del fisico inglese Arthur Eddington). In termini semplici, questo è il limite naturale di luminosità che un corpo sferico dovrebbe possedere in base alla sua massa. Le ULX sono così straordinarie che oltrepassano questo limite di 100 fino a 500 volte, come spiegato dalla NASA. Ciò le rende oggetti assolutamente unici e enigmatici.

La ragione di questo limite deriva dal fatto che, come specificato dall’Istituto Nazionale di Fisica e Astronomia (INAF), le particelle di luce, ossia i fotoni, “esercitano una leggera spinta sugli oggetti che incontrano”. “Se un corpo cosmico come una ULX emette abbastanza luce per metro quadrato, la spinta verso l’esterno dei fotoni può prevalere sull’attrazione gravitazionale dell’oggetto“, spiega l’istituto. Questo è un dettaglio cruciale per corpi celesti come le ULX o i buchi neri che emettono luce, poiché la fonte della loro luminosità è legata al materiale che vortica attorno ad essi e viene “inghiottito” a causa della forza di attrazione gravitazionale. In parole semplici, l’attrito di queste particelle – polveri e gas – le riscalda e le accende, innescando la reazione luminosa. Il punto è che, raggiunto il limite di Eddington, la luce dell’oggetto disperderebbe ulteriori gas e polveri, impedendo di fatto l’aumento di luminosità. Tuttavia, M82 X-2, che è una stella di neutroni, supera questo limite ed emette molta più luce di quanto dovrebbe.

A confermarlo è stato un team di ricerca internazionale guidato dallo scienziato italiano Matteo Bachetti dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Cagliari, che ha collaborato con un nutrito gruppo di colleghi di vari atenei e istituti sparsi per il mondo. Tra questi l’Osservatorio Europeo Australe (ESO), il Quasar Science Resources S.L dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), l’Accademia delle Scienze della Russia, l’Università dell’Hertfordshire, l’Università di Tolosa e molti altri, compreso l’Osservatorio Astronomico di Roma. I ricercatori, utilizzando le osservazioni del telescopio a raggi X NuSTAR (Nuclear Spectroscopic Telescope Array) della NASA, hanno calcolato che M82 X-2 consuma ogni anno circa novemila miliardi di miliardi di tonnellate di materiale da una stella vicina, pari a una massa 1,5 volte quella della Terra. Da questo dato, gli scienziati hanno potuto stimare la luminosità dell’ULX (che è alimentata proprio dal materiale strappato all’altra stella). I dati raccolti da Bachetti e colleghi confermano che l’oggetto supera ampiamente il limite di Eddington.

Le ipotesi per questa luminosità estrema sono due: la formazione di un cono di luce diretto verso la Terra a causa di venti potentissimi, che amplificherebbe in modo anomalo la luminosità risultando falsamente superiore al limite di Eddington (in pratica, sarebbe concentrata e non espansa); e l’interazione con intensissimi campi magnetici, in grado di allungare gli atomi e impedire ai fotoni di respingerli efficacemente, amplificando di fatto la luminosità. Ma si tratta di teorie che non possono nemmeno essere verificate in laboratorio, dato che i campi magnetici coinvolti sono immensamente più potenti di qualunque campo magnetico mai creato sulla Terra.

Queste osservazioni ci hanno permesso di vedere gli effetti di questi campi magnetici incredibilmente forti che non potremmo mai riprodurre sulla Terra con la tecnologia attuale“, ha dichiarato in un comunicato stampa il dottor Bachetti. “Questa è la bellezza dell’astronomia. Osservando il cielo, espandiamo la nostra capacità di indagare su come funziona l’universo. D’altra parte, non possiamo davvero organizzare esperimenti per ottenere risposte rapide; dobbiamo aspettare che l’universo ci mostri i suoi segreti“, ha concluso lo scienziato. I dettagli della ricerca “Orbital Decay in M82 X-2” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica The Astrophysical Journal.