Un nuovo strumento in grado di prevedere gli effetti di una bomba atomica su un asteroide aiuterà a sviluppare missioni di “ablazione nucleare” più sicure.
È la soluzione preferita dai registi per salvare la Terra quando un asteroide minacci la vita sul nostro pianeta. Parliamo dell’utilizzo, in questo caso, di un ordigno nucleare, sotto forma di missile o di un dispositivo che un gruppo di persone coraggiose deve trasportare, posizionare e far esplodere manualmente. Tuttavia, nonostante il suo fascino cinematografico, la soluzione non è molto popolare tra gli scienziati. In effetti, bombardare un asteroide potrebbe essere una pessima idea e non farebbe altro che peggiorare la situazione. Una bomba nucleare, è vero, potrebbe distruggere completamente un piccolo asteroide, non più grande di poche centinaia di metri in grado di distruggere una città. Ma cosa accadrebbe a quelli più grandi, quelli con un diametro di chilometri e la capacità di estinguere la vita sulla Terra?
In questi casi, è molto probabile che un impatto nucleare provochi la rottura della grande roccia in una moltitudine di frammenti più piccoli, che continueranno a minacciare il pianeta e potrebbero persino peggiorare le cose producendo impatti multipli ovunque. Recentemente, inoltre, abbiamo tutti assistito a come la missione DART sia riuscita a deviare un piccolo asteroide dalla sua rotta con un metodo molto diverso, l‘impatto cinetico. Il sistema consiste nel mandare un oggetto massiccio contro l’asteroide, in modo che lo scontro devii la traiettoria della roccia. Il problema è che, oggi, possiamo lanciare nello spazio solo una quantità molto limitata di massa, e deviare un grande asteroide in questo modo richiederebbe un “impattatore” diversi ordini di grandezza più pesante e, quindi, fuori dalla nostra portata. Pertanto la “soluzione nucleare” non è stata ancora del tutto esclusa. Al contrario, diversi gruppi di ricercatori stanno cercando di trovare una tecnica sicura che consenta di utilizzare un’esplosione nucleare su un asteroide senza che la cura sia peggiore della malattia.
Il passo più recente verso questa tecnica è stato appena pubblicato su “The Planetary Science Journal”. Nel loro articolo, i ricercatori del Lawrence Livermore National Laboratory in California hanno presentato un nuovo strumento di modellazione in grado di simulare in modo molto dettagliato cosa accadrebbe se un ordigno nucleare venisse fatto esplodere sulla superficie di un asteroide. Lo strumento, che sta già contribuendo a migliorare la comprensione di come le radiazioni di un’esplosione nucleare interagiscono con la superficie di una roccia spaziale, analizza anche la dinamica delle onde d’urto che potrebbero influenzarne l’interno.
Secondo lo studio, la tecnica esplosiva, chiamata “ablazione nucleare”, vaporizzerebbe istantaneamente una porzione dell’asteroide e causerebbe un cambiamento di velocità nell’asteroide, costringendolo ad accelerare. Il modello è flessibile, cioè può incorporare un’ampia gamma di condizioni iniziali che simulano quelle di tutti i tipi di asteroidi che abbiamo potuto studiare più da vicino. Queste simulazioni stanno fornendo agli scienziati planetari maggiori informazioni (e più opzioni) su come utilizzare le armi nucleari contro una roccia spaziale che un giorno potrebbe avvicinarsi troppo alla Terra.
Una soluzione sicura
”Se avessimo sufficiente tempo di preavviso – spiega Mary Burkey, prima firmataria dell’articolo – potremmo potenzialmente lanciare un ordigno nucleare, inviandolo a milioni di chilometri di distanza verso un asteroide diretto verso la Terra. “Saremmo in grado, dunque, di far esplodere il dispositivo e deviare l’asteroide, mantenendolo intatto ma allontanandolo dalla Terra in modo controllato, oppure potremmo distruggere l’asteroide, spezzandolo in piccoli frammenti che si muovono rapidamente ma che non raggiungono il pianeta.”
Grazie alla missione DART, gli scienziati hanno imparato molto su ciò che serve per reindirizzare un pericoloso oggetto spaziale. E il nuovo modello, chiamato “modello di deposizione di energia a raggi X”, offre ai ricercatori gli strumenti per sfruttare le conoscenze acquisite con DART esplorando al contempo come l’ablazione nucleare potrebbe essere una valida alternativa alle missioni a impatto cinetico.
Secondo Burkey, i dispositivi nucleari hanno il più alto rapporto di densità di energia per unità di massa di qualsiasi altra tecnologia umana attuale, e ciò potrebbe renderli uno strumento imbattibile per mitigare la minaccia degli asteroidi. Tuttavia, prevedere la possibile efficacia di una tale missione non è un compito semplice e richiede, come scrivono i ricercatori, “precise simulazioni multifisiche della deposizione dell’energia dei raggi X dal dispositivo sull’asteroide e dell’ablazione del materiale risultante”.
Un fatto che implica la combinazione di diversi rami della fisica e genera una moltitudine di dati la cui analisi richiede un’enorme potenza di calcolo. Ed è qui che il modello di Burkey e dei suoi colleghi puntano a migliorare le cose. Le loro simulazioni, infatti, sono in grado di tracciare i fotoni che penetrano nelle superfici di materiali simili agli asteroidi, come roccia, ferro e ghiaccio, tenendo conto degli effetti di processi più complessi, come la radiazione che viene rilasciata dopo il esplosione di un ordigno nucleare. Un approccio che permette al modello di essere applicabile a un’ampia gamma di possibili scenari per asteroidi in rotta di collisione con il nostro pianeta. Lo strumento, quindi, sarà fondamentale nel fornire informazioni utili a chi dovrà prendere decisioni se, ad un certo punto, dovremo affrontare una minaccia reale. Uno scenario che, seppure improbabile, avrebbe conseguenze devastanti qualora si verificasse.