Un team italiano conferma l’esistenza di vulcani attivi su Venere, aprendo nuove prospettive per lo studio del pianeta e della sua evoluzione rispetto alla Terra.
Tanto affascinante quanto tossica. Venere, il secondo pianeta del nostro sistema solare, ha quasi le stesse dimensioni della Terra, ma non è abitabile. Anzi, non è neppure facilmente esplorabile. Con i suoi 400 gradi Celsius di temperatura media e una pressione di 90 atmosfere, viaggiare sulla superficie del nostro “vicino di casa” è quasi impossibile. Per questo motivo, per studiare il pianeta è necessario affidarsi alle rilevazioni fatte dai radar. Venere è viva, a modo suo. Lo dimostra uno studio italiano condotto da un team di ricerca dell’Università “Gabriele d’Annunzio” di Chieti-Pescara, che ha osservato la superficie del pianeta e ha scoperto che ci sono dei vulcani ancora attivi che eruttano sulla superficie.
I vulcani sulla superficie di Venere
La difficoltà è osservare la superficie del pianeta attraverso la densissima (e velenosa) atmosfera che la circonda, composta principalmente di anidride carbonica. È per questo motivo che la temperatura del pianeta raggiunge livelli altissimi e la sua superficie è difficile da studiare. Ma grazie alla missione Nasa Magellan, che ha analizzato Venere dal 1990 al 1994, è stato possibile mappare il pianeta grazie a dei radar. Grazie alle “fotografie” scattate dalla sonda spaziale, è stato possibile confermare quello che fino a oggi è stato solo un sospetto: su Venere ci sono dei vulcani attivi. In particolare, le immagini che hanno catturato l’attenzione degli scienziati sono quelle scattate fra Sif Mons e Niobe Planitia, due vulcani su cui si vedono alcuni solchi compatibili con delle colate di lava. Queste hanno dovuto superare alcuni ostacoli rocciosi che hanno incontrato lungo il cammino ed è anche grazie a questi percorsi lungo le formazioni rocciose che gli scienziati sono riusciti a confermare l’esistenza dei vulcani sulla superficie di Venere.
Una scoperta importante sia per la Terra che per Venere stessa. “Possiamo comprendere anche molto del nostro pianeta, perché ci aiuta ad esempio a capire come mai nonostante siano così simili e si siano formati nello stesso ambiente hanno poi avuto un’evoluzione così diversa“, ha detto all’Ansa Giuseppe Mitri, uno dei ricercatori che hanno firmato lo studio. Non solo: la scoperta aiuterà Venus Emissivity, Radio science, InSAR, Topography, And Spectroscopy (VERITAS) a studiare più efficacemente il pianeta a partire dai primi anni del prossimo decennio. La missione della Nasa, infatti, potrà usare le rilevazioni del team italiano per capire su quali regioni concentrare la ricerca imminente su Venere.