Superspreaders di Fake News: Il Lato Oscuro dei Social Media

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I risultati dello studio potrebbero aiutare ad affrontare account simili in futuro. (JRdes/Shutterstock.com)

Un recente studio ha rivelato che soltanto 10 “superspreaders” sono stati responsabili di oltre un terzo delle informazioni errate diffuse su Twitter durante un periodo di otto mesi nel 2020. Le fake news sono diventate un problema sempre più serio negli ultimi anni, con potenziali impatti negativi significativi. Questo tipo di contenuto non solo può risultare fastidioso a prima vista, ma può anche minare la fiducia nelle istituzioni democratiche e mettere a rischio la salute pubblica. L’assalto al Campidoglio degli Stati Uniti il 6 gennaio 2021 è un esempio estremo di come le fake news possano scatenare agitazioni politiche violente, mentre teorie del complotto simili hanno compromesso seriamente le misure di contrasto al COVID-19 durante la pandemia.

Da tempo, i ricercatori sono consapevoli che alcuni individui sui social media sono più abili nel diffondere informazioni errate rispetto ad altri. I cosiddetti “superspreaders”, utenti che costantemente condividono una quantità sproporzionatamente elevata di contenuti poco credibili, potrebbero essere in gran parte responsabili di questo problema. Uno studio sull’impatto delle fake news sulle elezioni statunitensi del 2016 ha rivelato che lo 0,1 percento degli utenti di Twitter era responsabile dell’80 percento dei contenuti dubbi circolanti all’epoca.

Durante la pandemia, un’analisi sulla diffusione di informazioni poco credibili legate al COVID-19 ha evidenziato che pagine e account popolari, verificati da Facebook e Twitter, hanno contribuito alla proliferazione di questo tipo di contenuti. Ancora più preoccupante, nel 2021, il Centro per la Contrapposizione all’Odio Digitale ha individuato 12 account, noti come “Disinformation Dozen“, responsabili della diffusione di quasi due terzi delle affermazioni anti-vaccinazione sui social media.

Di fronte all’aumento della diffusione di fake news, le piattaforme social sono sotto pressione per intensificare gli sforzi nel contrastare il problema. Ma come individuare i superspreaders, specialmente considerando che gli studi precedenti hanno utilizzato approcci diversi per identificarli?

Questo è il focus dell’ultimo studio condotto dai ricercatori dell’Osservatorio sui Social Media dell’Università dell’Indiana e dal Dipartimento di Informatica dell’Università di Exeter, nel Regno Unito. Il team ha analizzato 2.397.388 tweet contenenti informazioni poco credibili, definiti come contenuti originariamente pubblicati da fonti poco affidabili, inviati da 448.103 utenti tra gennaio e ottobre 2020.

Secondo l’analisi condotta, più di un terzo di questi tweet proveniva solamente da 10 account, mentre solo 1.000 utenti erano responsabili del 70 percento dei contenuti. Questi superspreaders erano principalmente legati ad account anonimi iperpartigiani, commentatori politici e strategisti di alto profilo. Tra di loro figuravano account ufficiali sia del Partito Democratico che del Partito Repubblicano, e l’account di @DonaldJTrumpJr, appartenente al figlio e consigliere politico dell’ex Presidente Trump.

È importante sottolineare che molti di questi account superspreader sono stati individuati nel 2020 e ora sono inattivi o sono stati banditi dalla piattaforma. In quel periodo, Twitter stava sperimentando diverse strategie per contrastare le fake news, ma la situazione attuale è molto diversa. La piattaforma ha ridotto il personale dedicato alla moderazione dei contenuti e ha sciolto il team per l’integrità delle elezioni.

È altresì rilevante notare che nonostante la rimozione di 2.000 account bot, la presenza di informazioni poco credibili nei dati è rimasta significativa. L’articolo affronta due domande di ricerca fondamentali sul tema della disinformazione digitale. In particolare, si valuta l’efficacia di diversi metodi nell’individuare i superspreaders di contenuti poco credibili su Twitter. I risultati mostrano che la rimozione di questi account porta a una significativa riduzione della diffusione di fake news, ma la sospensione degli utenti potrebbe essere interpretata come un tentativo di limitare la libertà di espressione.

Il team suggerisce che l’efficacia di altre strategie di moderazione debba essere valutata da ricercatori e professionisti del settore. Le piattaforme potrebbero essere ripensate per promuovere la condivisione di contenuti affidabili. Sebbene lo studio si concentri sui superspreaders di disinformazione, potrebbe aprire la strada a futuri studi sugli account amplificatori, utenti che diffondono nuovamente informazioni errate originariamente pubblicate da altri. Lo studio è stato pubblicato su PLOS One.

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