Un tragico traguardo è stato raggiunto nella lotta contro il cambiamento climatico: l’ultimo ghiacciaio del Venezuela si è sciolto, facendo diventare il paese il primo a perdere tutti i suoi corpi di ghiaccio. Nel lontano 1910, il Venezuela vantava sei imponenti ghiacciai che coprivano un’area totale di 1.000 chilometri quadrati (386 miglia quadrate). Nel corso degli anni, però, questi si sono ridotti a piccole chiazze di ghiaccio che non possono più essere considerate ghiacciai.
Già entro il 2011, cinque dei sei ghiacciai del paese erano scomparsi, lasciando solo il ghiacciaio Humboldt, conosciuto anche come La Corona, nel Parco Nazionale Sierra Nevada. Tuttavia, persino quest’ultimo simbolo ghiacciato si è ridotto così drasticamente da non essere più classificato come ghiacciaio, ma come un modesto campo di ghiaccio.
Il Professore Julio Cesar Centeno dell’Università degli Andes (ULA) ha dichiarato a marzo: “In Venezuela non ci sono più ghiacciai. Quello che abbiamo è un pezzo di ghiaccio che rappresenta solo lo 0,4 percento della sua dimensione originale.” Il ghiacciaio La Corona, un tempo esteso su 4,5 chilometri quadrati (1,7 miglia quadrate), ora si estende per meno di 0,02 chilometri quadrati (2 ettari), ben al di sotto della soglia minima di 0,1 chilometri quadrati (10 ettari) per essere considerato un ghiacciaio.
Le ricerche condotte negli ultimi cinquant’anni hanno rivelato che la copertura glaciale in Venezuela è diminuita del 98 percento tra il 1953 e il 2019. Dopo il 1998, il tasso di perdita di ghiaccio si è accelerato notevolmente, raggiungendo un picco del 17 percento all’anno a partire dal 2016.
Il ricercatore dell’ULA Luis Daniel Llambi ha commentato la scomparsa del ghiacciaio al Guardian, affermando che durante l’ultima spedizione nel dicembre 2023, è stato osservato che il ghiacciaio aveva perso circa due ettari rispetto al 2019, scendendo a meno di due ettari. Nel tentativo di proteggere il ghiacciaio Humboldt, il governo venezuelano ha coperto la superficie con una coperta geotessile a dicembre. Tuttavia, questa strategia ha suscitato critiche da parte dei conservazionisti, che temono che il tessuto possa degradarsi nel tempo in microplastiche, contaminando l’ecosistema.
Il Professore Centeno ha avvertito: “Queste microplastiche, praticamente invisibili, finiranno nel terreno, nei raccolti, nelle lagune e nell’aria, con il rischio che le persone le ingeriscano e le respirino.” È una fine tragica per un paese che un tempo ospitava eventi di sci di fondo fino agli anni ’50.
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