Fino ad allora si credeva che una parte importante del cervello chiamata cervelletto agisse solo nel coordinare le funzioni motorie come l’equilibrio e il movimento. Ora però, una collaborazione tra l’Università di Pittsburgh e la Columbia University ha portato alla scoperta di un ruolo imprevisto: il supporto al controllo del nostro pensiero. Il cervelletto è una parte del sistema nervoso situata alla base del cranio (dietro la giunzione tra il cervello più grande e il midollo spinale) e la notizia – annunciata attraverso un articolo sulla rivista Nature Communications – è che alcune parti di esso si sono evoluti insieme alle aree del cervello che controllano il modo in cui pensiamo. Gli scienziati hanno addestrato le scimmie a muovere la mano sinistra o destra in base all’immagine che osservavano sullo schermo. Se avessero mosso la mano destra, gli animali avrebbero ottenuto una ricompensa (un sorso di succo). Le scimmie hanno ricevuto anche un placebo o un farmaco in grado di bloccare temporaneamente l’attività di una regione del cervelletto, chiamata posterolaterale.
Il cervelletto inattivato impedisce l’apprendimento
Con il placebo gli animali hanno imparato a fare il movimento giusto dopo 50-70 tentativi. Ma con il cervelletto bloccato, avevano difficoltà ad apprendere la nuova associazione. La conclusione è che quando quest’area del cervelletto viene disattivata, il nuovo apprendimento viene compromesso e le prestazioni non raggiungono lo stesso livello.
E c’è un dettaglio: quando questa regione è diventata inattiva, non ha causato cambiamenti nel modo in cui venivano eseguiti i movimenti, ma solo nell’apprendimento stesso. D’altra parte, l’inattivazione di altre regioni cerebellari non ha compromesso l’apprendimento. “Quando il cervelletto posterolaterale era inattivato, le scimmie avevano difficoltà ad apprendere anche l’associazione che presentava minori difficoltà“, si legge nell’articolo. “Questi risultati dimostrano un ruolo causale per il cervelletto laterale posteriore dei primati nell’apprendimento di rinforzo non motorio“, concludono gli esperti. Gli autori riconoscono che la scoperta di questa nuova funzione del cervelletto può aiutare a spiegare alcune delle difficoltà non motorie nelle persone con determinati disturbi, quindi possiamo sperare che studi futuri indagheranno ulteriormente questa relazione.
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