Per la prima volta gli astronomi hanno identificato i resti di asteroidi e pianeti in una nana bianca, il “cadavere” di una stella che ha terminato il suo ciclo di fusione nucleare. Il ”materiale planetario”, forse ionizzato, è stato trovato in uno dei poli dell’oggetto. WD 0816-310 è una nana bianca delle dimensioni della Terra circondata da pianeti, asteroidi e comete, tutti contenenti metalli nella loro composizione. In passato era una stella di proporzioni molto simili al Sole. Oggetti come questo nascono quando le stelle incapaci di esplodere in supernove formano nebulose planetarie: un evento simile accadrà al nostro Sole tra 4,5 miliardi di anni, dopo la sua fase di gigante rossa.
Nonostante siano molto più piccole di una stella e non producano più energia attraverso la fusione nucleare, le nane bianche brillano grazie al calore che hanno già rilasciato; un processo paragonabile al carbone ancora rosso dopo che il fuoco si è spento. Con la stessa influenza gravitazionale che la stella ha avuto durante il suo ciclo vitale e un potente campo magnetico, la nana bianca ha ancora i suoi pianeti e asteroidi in orbita. L’unica differenza è che, quando raggiunge la fase di gigante rossa, può divorare gli oggetti più interni del sistema. Nel caso di WD 0816-310, il processo ha lasciato detriti e materiali provenienti dai pianeti e dagli asteroidi divorati ancora nella sua orbita. Si tratta della conclusione dello studio che ha portato gli scienziati a scoprire una sorta di “cicatrice” metallica sulla superficie dell’oggetto, che può essere spiegata solo con la cattura e l’assorbimento di questi resti planetari. Gli astronomi hanno fatto la scoperta utilizzando il Very Large Telescope per vedere che la firma di questi elementi chimici varia periodicamente con la rotazione della stella. Ciò suggerisce che la cicatrice sia presente in uno dei poli della nana bianca, probabilmente perché il materiale metallico è stato ionizzato prima di essere catturato. La scoperta consentirà agli scienziati di studiare meglio le dinamiche dei sistemi “morti” come questo e prevedere come sarà il nostro Sistema Solare tra qualche miliardo di anni. L’articolo è stato pubblicato su The Astrophysical Journal Letters .