La sonda Chang’e-5, la prima a catturare materiale lunare in più di mezzo secolo, ha portato diverse sorprese sulla Terra tra i resti di regolite nel 2020, inclusa una sconcertante combinazione di minerali di silice
Gli scienziati sanno che i crateri visibili oggi sulla superficie della Luna sono il risultato dell’impatto di oggetti spaziali, di diverse dimensioni, che in varie epoche sono precipitati sulla superficie. Ma queste voragini non sono l’unica cosa che questi oggetti hanno lasciato con il loro impatto. Lo scontro degli oggetti spaziali ha provocato pressioni e temperature tali che la loro impronta può ancora essere tracciata nelle rocce e nella polvere che ricoprono la superficie lunare, la cosiddetta regolite. E questi “indizi” rivelano gran parte del passato del nostro satellite dimostrando come la sua storia sia ancora da scoprire. Oggi possediamo diverse raccolte di questa polvere lunare arrivata sulla Terra da varie missioni, soprattutto statunitense e dell’ex Unione Sovietica. Tuttavia, nel 2021 – più di mezzo secolo dopo l’ultima missione simile (la sovietica Luna 24 -) la Cina è emersa come la terza potenza spaziale in grado di riportare materiale dal nostro satellite grazie alla missione Chang’e-5, che ha recuperato un totale di 1,73 chilogrammi di regolite proveniente dall’Oceanus Procellarum (tradotto come Oceano delle Tempeste).
Ora, tre anni dopo, gli scienziati ne hanno rivelato il contenuto: tra i resti c’era una sconcertante combinazione di minerali di silice e un nuovo materiale mai visto prima e chiamato Changesite-(Y). I risultati sono stati appena pubblicati sulla rivista ”Matter and Radiation at Extremes”. I ricercatori dell’Accademia cinese delle scienze hanno confrontato la composizione del materiale ottenuto dalla missione con altri campioni di regolite lunare e marziana esaminando le possibili cause della composizione unica del campione lunare. Gli asteroidi e le comete che entrano in collisione con il nostro satellite a velocità estreme, hanno prodotto metamorfismo da impatto (shock) nelle rocce lunari. Questi cambiamenti di temperatura e pressione avvengono rapidamente e provocano vari effetti, inclusa la formazione di polimorfi di silice come stishovite e seifertite, che sono chimicamente identici al quarzo ma con strutture cristalline differenti. Ma trovare questo tipo di materiale tra i campioni non è comune. “Sebbene la superficie lunare sia coperta da decine di migliaia di crateri da impatto, i minerali ad alta pressione sono rari nei campioni lunari”, spiega Wei Du, autore dello studio. “Una delle possibili spiegazioni è che la maggior parte dei minerali se sottoposti ad alta pressione e temperature elevate sono instabili. Pertanto, quelli che si sono formati durante l’impatto potrebbero aver subito un processo diverso.” In pratica, le alte temperature potrebbero anche aver invertito la trasformazione della regolite formando minerali diversi rispetto al resto della superficie, non oggetto di impatti.
Un frammento di questo minerale recuperato conteneva sia stishovite che seifertite, minerali che teoricamente coesistono solo a pressioni molto più elevate rispetto a quelle apparentemente sperimentate dal campione. Gli autori hanno determinato che la seifertite esiste come fase tra la stishovite e un terzo polimorfo della silice, chiamato α-cristobalite, anch’esso presente nei resti. “In altre parole, la seifertite potrebbe formarsi dall’α-cristobalite durante il processo di compressione e parte del campione potrebbe essere trasformata in stishovite durante il successivo processo di aumento della temperatura“, afferma Du. Il lavoro dei ricercatori non si è fermato all’analisi dei minerali, ma ha cercato anche di indagare su quale oggetto avesse causato l’impatto di quel campione sulla superficie della Luna. Pertanto, hanno calcolato la pressione massima e la durata della collisione e hanno combinato i dati con i modelli delle onde d’urto. In questo modo hanno scoperto che il cratere risultante sarebbe stato largo tra 3 e 32 chilometri, a seconda dell’angolo di impatto. Hanno quindi cercato possibili crateri “madre” da cui potessero provenire i minerali presenti nel campione individuando cinque possibili candidati, tra cui il giovane cratere Aristarchus, il più recente di essi e uno dei più famosi, perché così luminoso che può essere osservato ad occhio nudo (si trova nella zona nord-ovest del l’emisfero australe). Poiché la seifertite e la stishovite vengono facilmente alterate dal metamorfismo termico, gli autori indicano che il frammento di silice probabilmente ha avuto origine dalla collisione che ha formato il celebre cratere.