È passato un lungo periodo di tempo da quando i dischi d’oro originali sono stati inviati nello spazio a bordo delle sonde Voyager 1 e Voyager 2, con l’intento di comunicare con possibili forme di vita extraterrestri. Ora, gli scienziati stanno cercando di creare una nuova edizione di questo messaggio per fornire agli alieni un’immagine aggiornata del nostro pianeta nel XXI secolo. I dischi d’oro originali erano come un messaggio in una bottiglia gettato nell’universo, sperando di offrire agli extraterrestri una visione della società umana e della storia del nostro pianeta. Erano costituiti da due dischi fonografici placcati in oro che contenevano audio e immagini che rappresentavano la vita sulla Terra. Uno di questi dischi fu posto a bordo di ciascuna sonda Voyager nel 1977. Il contenuto del disco fu selezionato da un comitato guidato da Carl Sagan e includeva una collezione di saluti in 55 lingue diverse, musica proveniente da varie culture, diagrammi scientifici, immagini del mondo naturale e della cultura umana, oltre a definizioni matematiche. Se dovessimo pubblicare una nuova edizione dei dischi d’oro, cosa cambieremmo rispetto al messaggio originale degli anni ’70? Un nuovo progetto di ricerca chiamato “Message in a Bottle” (MIAB) cerca di rispondere a questa domanda. Il progetto è ancora nelle fasi iniziali e il team sta ancora definendo la visione generale della missione e i contenuti esatti non sono ancora stati discussi. L’obiettivo finale è lanciare una copia del MIAB nello spazio durante una futura missione spaziale e conservarne un’altra copia sulla Terra. Anche se le probabilità che un’entità extraterrestre riceva la nostra comunicazione sono molto basse, la versione conservata sulla Terra fornirà preziose informazioni sulla nostra civiltà e sul suo lascito per le generazioni future o, potenzialmente, per specie intelligenti che potrebbero visitare il nostro pianeta in futuro. A differenza dei dischi originali, il nuovo messaggio potrebbe includere video, che permetterebbero agli alieni di osservare l’umanità in modo più dettagliato rispetto a un’immagine fissa o a una registrazione audio. Il messaggio potrebbe anche includere altre forme moderne di media, come giochi o codice informatico. Tuttavia, il problema principale è come creare un messaggio che sia comprensibile universalmente. Nel caso remoto in cui questo messaggio venga visto da una specie extraterrestre intelligente, come possiamo comunicare con loro? Capiscono il mondo attraverso informazioni visive e audio come noi, o percepiscono l’universo in un modo completamente diverso? Sarebbero in grado di distinguere la differenza tra musica e un bambino che dice “ciao”? Per superare questa difficoltà, i ricercatori raccomandano di creare un sistema in cui le informazioni possano essere rivelate gradualmente, partendo dai concetti fondamentali della vita sulla Terra e procedendo verso aspetti più complessi della società umana e della scienza. Il messaggio sarà strutturato in modo gerarchico, in cui ogni livello servirà come chiave per sbloccare il livello successivo, guidato dal principio che ogni livello debba essere comprensibile e informativo. In questo modo, i livelli precedenti di video forniranno il contesto per i livelli successivi. In definitiva, il MIAB potrebbe essere una testimonianza delle nostre conquiste come specie e una capsula del tempo per documentare la nostra esperienza. Il nostro obiettivo è condividere la nostra conoscenza collettiva, le emozioni, le innovazioni e le aspirazioni in modo da fornire una comprensione universale e rilevante della società umana, dell’evoluzione della vita sulla Terra e delle nostre speranze e preoccupazioni per il futuro. È fondamentale presentare gli esseri umani come una specie intellettuale, emotiva e premurosa, degna di interagire, indipendentemente dalla distanza, dal tempo e dall’energia necessari per ricevere una risposta. Tuttavia, sorge la domanda se dovremmo essere onesti riguardo al lato oscuro dell’umanità. Dovremmo parlare agli alieni delle nostre devastanti guerre, del nostro mancato rispetto per il mondo naturale e delle nostre carenze psicologiche? La risposta a questa domanda non è ancora chiara. L’articolo di ricerca è stato pubblicato sulla rivista AGU Earth and Space Science.
Links: