Ecco come alcuni pianeti potrebbero presentare condizioni migliori rispetto alla Terra.
Fino a prova contraria la Terra è l’unico pianeta ad ospitare forme di vita nell’universo. Secondo una ricerca del Goldschmidt Geochemistry Conference di Barcellona, però, potrebbero esistere altri corpi celesti nello spazio a presentare condizioni addirittura migliori per la vita. Alcuni pianeti, ad esempio, potrebbero non solo ospitare l’acqua, ma presentare una migliore circolazione oceanica; una condizione essenziale per sostenere forme di vita in maniera anche più rigogliosa e attiva della vita terrestre. La ricerca si basa su un software sviluppato dalla NASA che ha simulato le condizioni climatiche e gli oceani di diverse tipologie di esopianeti. La ricerca prende in considerazione i pianeti collocati nella cosiddetta zona abitabile, ovvero gli oggetti nei quali potrebbero essere presenti oceani. Ma non tutti gli oceani sono ospitali alla vita: alcuni pianeti presentano una migliore circolazione globale ed ospitare più vita rispetto al nostro. La circolazione oceanica favorisce i meccanismi necessari all’evoluzione della vita, rendendo questi oggetti abitabili grazie ad un continuo flusso di nutrienti negli oceani. Si chiama corrente di risalita ed è il fenomeno che spinge i nutrienti dalle profondità oceaniche alle zone superficiali illuminate dai raggi stellari, dove sono oggetto della vita fotosintetica.
Il cosiddetto circolo dell’upwelling è riscontrabile, secondo gli esperti, in presenza di una maggiore densità atmosferica e una minore velocità di rotazione. Nel caso in cui vengano riscontrate queste condizioni, in maniera maggiore rispetto alla Terra, ecco che l’esopianeta avrebbe condizioni migliori rispetto al nostro per ospitare forme di vita. Lo studio potrebbe avere importanti conseguenze sulle modalità di studio della vita aliena e degli strumenti necessari per realizzarla. Insomma gli studiosi gli elementi essenziali per rilevare, anche a distanza, condizioni di abitabilità su mondi alieni, ”anche se – aggiunge il professore Chris Reinhard del Georgia Institute of Technology degli Stati Uniti – la nostra conoscenza degli oceani extrasolari risulta limitata”.