Quando gli antichi antenati Homo sapiens lasciarono l’Africa per l’Eurasia circa 60.000 anni fa, si accoppiarono con altre specie umane che abitavano la loro nuova casa, più fredda. Tra queste c’erano i Denisovani, ora estinti, che hanno lasciato tracce del loro DNA negli esseri umani moderni. Questo DNA potrebbe averci aiutato ad adattarci al freddo, ma allo stesso tempo aumenta la nostra suscettibilità a disturbi mentali come la schizofrenia.
Uno studio recente ha esaminato la composizione genetica di 26 popolazioni attuali e ha scoperto una traccia diffusa di DNA Denisovano negli esseri umani moderni. Questa traccia si trova in tutte le regioni, tranne l’Africa, e è legata a una particolare variante di un gene chiamato SLC30A9. Questo gene codifica per una proteina chiamata ZnT9, che trasporta lo zinco attraverso le membrane cellulari.
La variante di SLC30A9 associata ai Denisovani non si trova nel genoma dei Neanderthal, escludendo così questa specie come fonte del gene. Allo stesso tempo, i genomi africani moderni contengono una variante più antica di SLC30A9 che precede l’introduzione dell’allele Denisovano.
Gli scienziati hanno introdotto il DNA Denisovano nelle cellule embrionali renali umane e hanno osservato che ha alterato il metabolismo mitocondriale, prevenendo l’eccesso di zinco e conferendo un guadagno complessivo di funzione. Questo suggerisce che la variante genetica ereditata dai Denisovani potrebbe aver aiutato gli antichi Homo sapiens ad adattarsi meglio al freddo.
Tuttavia, gli squilibri di zinco possono causare disturbi neurologici, e la variante Denisovana è associata a una maggiore suscettibilità a disturbi neuropsichiatrici come la schizofrenia, il disturbo bipolare, la depressione e l’anoressia nervosa.
Gli autori dello studio ipotizzano che l’adattamento al freddo abbia guidato l’introduzione della variante Denisovana nel genoma umano al di fuori dell’Africa, influenzando anche la predisposizione ai disturbi neuropsichiatrici negli esseri umani moderni.
Queste scoperte sono state pubblicate sulla rivista PLOS Genetics.
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