Secondo un nuovo studio, il morbo di Crohn può essere rilevato negli esami del sangue di routine fino a otto anni prima che si manifestano i sintomi e fino a tre anni prima di una diagnosi di colite ulcerosa. Le prime fasi delle malattie infiammatorie intestinali possono iniziare molto prima di quanto ipotizzato in passato e ciò può consentire ai medici di intervenire prima che si verifichino gravi danni.
Il morbo di Crohn e la colite ulcerosa sono malattie infiammatorie intestinali (IBD) che colpiscono moltissime persone. Sono causati dal sistema immunitario che attacca in modo sbagliato l’intestino, provocando piaghe dolorose, infiammazioni e sintomi come dolore addominale e diarrea.
Come riportato da ‘The Guardian’, il dottor James Lee, gastroenterologo presso il Crick Institute di Londra, che ha guidato la ricerca, ha così spiegato: “Queste condizioni in genere colpiscono i giovani in un momento in cui stanno cercando di finire la loro istruzione e avere relazioni e mantenere il lavoro, e possono essere devastanti. Parte del motivo per cui abbiamo fatto questo studio è perché c’è una percentuale di persone che ha già un danno intestinale abbastanza accertato al momento della diagnosi”.
Per indagare, Lee e colleghi si sono rivolti a un database di cartelle cliniche elettroniche danesi. Hanno esaminato gli esami del sangue standard eseguiti su 20.000 persone con IBD nei 10 anni precedenti la diagnosi, confrontandoli con altri 4,6 milioni di persone senza IBD. Dai risultati emersi, hanno identificato lievi cambiamenti in vari minerali, cellule del sangue e proteine associate all’infiammazione fino a otto anni prima di una diagnosi della malattia di Crohn e tre anni per la colite ulcerosa.
Lee ha poi aggiunto: “Questo ci dice che le origini di queste malattie stanno avvenendo molto prima di quanto avessimo mai pensato, il che potrebbe darci un’enorme finestra di opportunità per intervenire con modifiche dello stile di vita o per far sì che le persone arrivino a un trattamento efficace molto, molto prima. Speriamo di poter evitare che le persone debbano sottoporsi direttamente a una grande operazione al momento della diagnosi”.
Il prossimo passo è quello di perfezionare ancora di più l’algoritmo per capire se ciò migliora la sua capacità di identificare chi è a rischio di sviluppare IBD in futuro e di indagare se il trattamento o la prevenzione possono ridurre il rischio.