Una percentuale del 16,5% di topi catturati a New York è risultato positivo al COVID. Ciò potrebbe significare che più di 1,3 milioni di topi potrebbero essere stati infettati.
Una nuova ricerca realizzata a New York ha rivelato la presenza, nella Grande Mela, di oltre un milione di topi positivi al Coronavirus, il virus responsabile della pandemia di COVID-19. La stima deriva dalla percentuale di ratti catturati e risultati positivi durante uno studio realizzato appositamente, con i dati proiettati sul totale di topi che popolano nella metropoli (oltre otto milioni). Gli studiosi hanno anche determinato che questi animali risultano suscettibili alle varianti Alpha, Delta e Omicron, 3 delle 5 varianti segnalate come ”preoccupanti” dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il pericolo principale è nelle mutazioni che il virus può subire mentre passa tra i vari animali, producendo nuove varianti, potenzialmente in grado di contagiare l’uomo, attraverso lo ”spillback”. Ad oggi il passaggio dall’uomo all’animale, e nuovamente all’essere umano, è stato individuato in un solo in un allevamento di visoni in Danimarca; gli studiosi credono infatti che si tratti di un evento molto raro. Ma la quantità gigantesca di topi presenti nei grandi centri urbani e le varie occasioni di contatto con i cittadini accrescono questo pericolo. A realizzare la stima che oltre un milione di topi di New York potrebbe essere risultare positivi al virus è stato un team di esperti statunitensi guidati dagli esperti dell’Università del Missouri, in collaborazione con gli scienziati del Ramo Malattie Virali del Walter Reed Army Institute of Research, dell’Università di Yale e dell’USDA APHIS Wildlife Services. Gli studiosi, guidati da Xiu Feng Wan, direttore presso il Center for Influenza and Emerging Infectious Diseases, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver realizzato due studi differenti. Nel primo test sono stati analizzati i campioni biologici di topi catturati a New York, soprattuto poco lontano dalle fogne e dai parchi, mentre nella seconda hanno analizzato in laboratorio la suscettibilità dei topi a varie varianti del SARS-CoV-2.
Per quanto riguarda i test sui topi, realizzati tra settembre e ottobre del 2021 gli addetti del Servizio di ispezione per la salute degli animali e delle piante (APHIS) presso il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) ne hanno studiato 79, con l’obbiettivo di analizzare la positività agli anticorpi IgM e IgG (neutralizzanti). Ebbene, 13, il 16,5%, sono positivi alla SARS-CoV-2. Nello specifico, a un ceppo di tipo B che circolava tra le persone quando la pandemia era agli inizi. Proiettando questo dato sull’intera popolazione di topi marroni o ratti norvegesi (Rattus norvegicus), cioè otto milioni di topi, Wan e colleghi hanno determinato che circa 1,3 milioni di topi potrebbero risultare positivi. I ratti norvegesi, molto diffusi potrebbero essere entrati in contatto con il virus nelle acque delle fogne, oggetti e alimenti contaminati o per via aerea, nelle case di persone contagiate. È risaputo che molti animali possono essere contagiati da cani, gatti, visoni, tigri, leoni, leopardi, scimmie e cervi. Il pericolo principale di questa diffusione è lo spillback, ovvero il passaggio del virus dall’uomo all’animale e poi il ritorno all’essere umano, magari con mutazioni pericolose. Finora, però, ci sono state poche prove di questo evento, ma il fatto che i topi siano così numerosi positivi siano così tanti è un dato preoccupante. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati su mBio della mBio dell’American Society for Microbiology.