Sindrome del terzo uomo: negli scenari di morte, i sopravvissuti segnalano l’apparizione di una persona

sindrome del terzo uomo
Fonte: Sito informazioneecultura.it

Tra il 1914 e il 1917, Sir Ernest Shackleton decise di attraversare l’intero Antartico, quello fu un viaggio sfortunato e considerato fallito, ma che alla fine sarebbe stato ricordato come una delle più grandi imprese di resistenza nella storia umana. Quando l’Endurance, ossia la nave che trasportava il gruppo di Shackleton, rimase bloccata nel ghiaccio nel 1915, un gruppo di marinai intraprese un difficile viaggio attraverso terre inospitali per raggiungere Elephant Island e poi infine la Georgia del Sud, dove gli uomini poco equipaggiati attraversarono montagne e ghiacciai per mettersi al sicuro.

Nelle sue esperienze, Shackleton ha dichiarato che: “Durante quella lunga e faticosa marcia di ben 36 ore sulle montagne e sui ghiacciai senza nome della Georgia del Sud, mi sembrava spesso che fossimo quattro, non tre“. Fu proprio grazie a questo racconto, che gli altri sopravvissuti hanno spiegato un fenomeno molto bizzarro conosciuto come la Sindrome del Terzo Uomo, ovvero un’inspiegabile “apparizione” che si presenta solamente nelle circostanze più estreme.

La sindrome del terzo uomo è probabilmente uno dei fenomeni più strani della sopravvivenza umana. Shackleton lo descrisse per la prima volta: parlò della presenza di uno strano compagno che gli apparve durante il suo arduo viaggio. Gli esploratori di montagna, i sopravvissuti al naufragio e gli esploratori polari hanno confermato di aver visto una figura umana o sentito una voce, che spesso dava loro informazioni utili su come avrebbero dovuto sfuggire da quella difficile situazione.

L’uomo che vide questa strana persona era l’esploratore britannico Frank Smythe, la prima persona a scalare l’Everest nel 1933. Insieme al suo gruppo di scalatori, Smythe fece l’intenso viaggio verso la vetta in pessime condizioni, ma solo il suo gruppo decise presto di tornato indietro dopo che il tempo terribile e la mancanza di ossigeno resero la vetta una meta impossibile da raggiungere. Smythe quindi decise di proseguire l’attraversata, ma gli mancò veramente poco al traguardo, solo 304 metri. Eppure mentre Smythe era del tutto solo, in realtà non era così che lo ricordava.

In seguito al tentativo di raggiungere la meta, Smythe scrisse così nel suo diario: Per tutto il tempo in cui ho scalato da solo, ho avuto la forte sensazione di essere accompagnato da una seconda persona. La sensazione era così forte che ha eliminato completamente tutta la solitudine che altrimenti avrei potuto provare”. D’un tratto, l’esploratore era così convinto della sua guida immaginaria che cercò addirittura di condividere con essa una torta alla menta di Kendal, ma poi quando si voltò, si rese conto che non c’era nessuno lì con lui.

Tuttavia, esiste una spiegazione alla Sindrome del Terzo Uomo? In realtà, nessuno la conosce neanche da un punto di vista scientifico. Forse potrebbe trattarsi di un’allucinazione che subentra in risposta a una condizione di forte stress, ma dato che è in grado di elargire informazioni importanti e pensate in situazioni di estrema pressione si pensa che sia una sorta di risorsa di sopravvivenza.