Lo spazio non ha quasi più segreti. Un gruppo internazionale di scienziati guidato da Eleonora Fiorellino dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), ha studiato le 26 protostelle più brillanti e vicine a noi stabilendo una relazione tra la crescita degli ‘embrioni’ di stelle e il disco di materia che li circonda sin dagli inizi.
La difficoltà sta nel fatto che le protostelle non sono visibili in banda ottica per cui per poterle studiare occorrono osservazioni in banda infrarossa, rendendo tutto più complicato. Così sono stato utilizzati nuovi strumenti, come Kmos montato sul Very Large Telescope dello European Southern Observatory in Cile.
In più, mediante l’uso di nuove tecniche di analisi, la dottoressa Fiorellino ha studiato le 26 protostelle più brillanti in un raggio di circa 1.600 anni luce da noi, calcolandone i tassi di accrescimento. Mentre osservazioni ottenute con il telescopio Alma, moderno telescopio situato sull‘altopiano di Chajnantor nelle Ande cilene e utilizzato per studiare la luce proveniente da alcuni dei più freddi oggetti dell’Universo, hanno consentito ai ricercatori di calcolare la massa dei dischi che le circondano. I risultati sono stati pubblicati su The Astrophysical Journal Letters, e permetteranno di individuare le condizioni iniziali da cui hanno luogo i pianeti intorno a stelle di piccola massa come il nostro Sole.
Come si legge su Ansa: “Lo studio indaga il processo di accrescimento per cui una parte del materiale del disco circumstellare, seguendo le linee di campo magnetico della stella in formazione, arriva sulla stella stessa, accrescendone la massa. Una simile analisi era già stata realizzata per oggetti un po’ più evoluti: le cosiddette stelle di pre-sequenza principale, ovvero lo stadio che precede la sequenza principale, fase fondamentale dell’evoluzione di una stella caratterizzata dalla fusione dell’idrogeno nel nucleo”.
La dottoressa Fiorellino sottolinea: “Questo lavoro mostra un trend evolutivo evidente fra protostelle brillanti e stelle di pre-sequenza, suggerendoci di andare a studiare protostelle ancora più giovani e meno brillanti con strumenti più potenti da Terra o con il telescopio James Webb nello spazio. Inoltre mostra che i modelli che hanno successo nello spiegare le fasi di pre-sequenza falliscono se applicati alle protostelle”.