Spazio: rivelato, per la prima volta, l’anello fotonico di un buco nero

“Abbiamo spento i riflettori per vedere le lucciole”, ha spiegato l’astrofisico Avery Broderick.

Un team internazionale di astronomi ha utilizzato nuovi algoritmi di ricostruzione delle immagini per rivelare, per la prima volta, l’anello di fotoni del buco nero supermassiccio nella galassia M87, catturato nel 2017 dalla rete globale di radiotelescopi chiamata ‘Event Horizon Telescope project’ (EHT). Nel loro rapporto, pubblicato il 10 agosto su The Astrophysical Journal, i ricercatori, guidati dall’astrofisico Avery Broderick, hanno affermato che all’interno dei dati EHT ci sono essenzialmente due immagini; una di queste proviene dall’anello di fotoni stesso e l’altra corrisponde al bagliore sfocato della regione circostante. Il buco nero, situato al centro della galassia Messier 87 (o M87), è immerso nella luce del gas vicino, inclusa la luce radio. La teoria e i modelli prevedevano l’esistenza di un sottile cerchio di luce noto come anello fotonico. Tuttavia, è stato solo dopo l’impiego di questi nuovi potenti algoritmi di modellazione ibrida che è stato possibile separare l’anello di fotoni dal bagliore sfocato della regione circostante. “Abbiamo spento i riflettori per vedere le lucciole“, ha spiegato Broderick, membro associato del Perimeter Institute e dell’Università di Waterloo, in una dichiarazione universitaria .

Spazio: rivelato, per la prima volta, l’anello fotonico di un buco nero

L’emissione radio dalle immediate vicinanze del buco nero è stata utilizzata per ricostruire la prima immagine diretta di un buco nero, stimarne la massa e interpretarne ”l’ambiente teorico”. L’immagine, pubblicata nel 2019, mostra quella che sembra essere una ciambella arancione sbiadita, a causa della luce diffusa nel suo percorso attraverso lo spazio. Tutto questo, nonostante il fatto che i buchi neri possano agire come una lente gravitazionale davvero potente, facendo sì che la luce che passa estremamente vicino si focalizzi direttamente su di noi. Per quanto riguarda l’applicazione delle nuove tecniche “software” per ricostruire i dati originali del 2017, Dominic Pesce, membro del team dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, ha affermato che “questo modello scompone l’immagine ricostruita nei due pezzi che contano di più per noi, in modo che possiamo studiare entrambi i pezzi individualmente invece di combinarli”.