Oggi ci si preoccupa molto dell’inquinamento e della conservazione delle risorse; con i prodotti bio si è raggiunto un buon compromesso tra industria e salvaguardia della natura, ma a quanto pare non è esattamente così, o almeno non per tutti i prodotti.
Secondo George Monbiot, scrittore e ambientalista inglese, sarebbe l’ industria della carne “biologica” allevata al pascolo tra le peggiori, tra consumo di suolo, riduzione della biodiversità ed emissioni di gas serra. Egli spiega nel suo libro Regenesis che il 12% della superficie del pianeta destinata all’agricoltura fornisce vegetali indirizzati a trasformarsi in mangime per animali.
Mentre, sebbene il 28% della superficie del pianeta sia destinata al pascolo animale, tra carne e derivati gli animali allevati al pascolo rendono solamente l’1% delle proteine alimentari a fronte di un processo non solo fortemente inefficiente, ma addirittura nocivo per l’intero ecosistema. La carne allevata al pascolo infatti limiterebbe il proliferare di animali e piante selvatiche.
Inoltre, afferma al Guardian, la cosiddetta agricoltura rigenerativa sarebbe possibile solo destinando ad esempio 20 ettari di terreno ad una singola capra, e questo genererebbe solo 54 kg di carne per ettaro: “Se, come propongono molti chef e buongustai e alcuni ambientalisti, la carne provenisse solo da allevamenti rigenerativi, sarebbe così scarsa che la mangerebbero solo i milionari”.
Insomma, l’allevamento di carne non conviene al pianeta, nemmeno se è bio: mentre dalla produzione della soia si ottengono circa 17kg di CO2 per 1kg di proteine, in quella del manzo sarebbero ben 1.250kg per 1kg di proteine.
Monbiot conclude avvisando: “L’industria del bestiame sta facendo quello che l’industria del petrolio fece quando cercò di convincerci che la CO2 è cosa buona per il pianeta perché è cibo per le piante […] viviamo in una illusione riguardo a dove proviene veramente il nostro cibo e su come viene prodotto”.