Non ci siamo ancora liberati dal Covid ed ecco arrivare un nuovo virus, sempre dalla Cina; il suo nome è Langya virus (LayV) e sembra abbia infettato dal 2018 già 35 persone comprese tra la Cina orientale, nelle province di Shandong e quella centrale, nelle province dell’Henan.
Uno studio condotto da scienziati di Cina e Singapore e pubblicato New England Journal of Medicine sottolinea che questo tipo di virus è di origine animale, precisamente si tratta di un henipavirus, per il quale non esiste vaccino ma se ne possono solo contenere le complicanze. Tra i sintomi appaiono febbre, affaticamento e tosse, ma può anche compromettere la funzionalità epatica e quella renale. Per fortuna pare che questo virus non abbia la capacità di diffondersi efficientemente nell’uomo; lo studio ha infatti evidenziato che non vi siano stati contagi tra i parenti dei pazienti.
Di questi almeno 26 riportavano febbre e circa la metà, come riporta Repubblica “soffriva di stanchezza, tosse, anoressia, dolori muscolari, carenza di globuli bianchi; circa un terzo aveva nausea, mal di testa, vomito, carenza di piastrine, alterazioni della funzionalità epatica; meno di 1 su 10 problemi ai reni”. I ricercatori hanno spiegato: “Non c’era uno stretto contatto o una storia di esposizione comune tra i pazienti, il che suggerisce che l’infezione nella popolazione umana potrebbe essere sporadica”.
Maria Caramelli, veterinaria del Laboratorio sorveglianza malattie emergenti dell’Istituto zooprofilattico del Piemonte ha invece affermato ad Adnkronos: “Questi agenti patogeni hanno un grande spettro di animali da infettare, compreso l’uomo. Quindi c’è una certa preoccupazione per questo focolaio cinese. Ora però questo cluster è legato a condizioni di promiscuità con gli animali. Sappiamo che per questo genere di virus un passaggio uomo-uomo è sporadico e ha una scarsa efficacia, ma non può essere escluso, come ci insegnano altri casi”.
E ancora: “Oltre il 70% delle malattie che colpiscono l’uomo arrivano dagli animali e questo ci deve far ragionare sull’importanza della prevenzione e della sorveglianza che in Europa è alta, ma in altri Paesi è più bassa. Certo il fatto che questo cluster sia venuto alla luce è un buon segnale”.